Quali sono le regioni in cui è più alta la percentuale di ragazzi che non lavorano, non frequentano alcuna scuola e non sono impegnati neppure in uno stage o in un tirocinio, i cosiddetti NEET? I dati Eurostat non lasciano dubbi: le regioni europee messe peggio sono in Italia, in particolare nel Mezzogiorno.
Nel 2021, ultima in assoluto era la Sicilia con il 30,2%, in peggioramento di quasi un punto rispetto al 2020. A seguire la Campania, con il 27,7% (28% l’anno prima). E risalendo, dopo una regione bulgara, troviamo la Calabria (27,2%). La media europea è del 10,8% (in miglioramento rispetto all’11,1% di un anno prima) ma in Italia solo la Provincia autonoma di Bolzano supera appena la media, fermandosi al 10,5%.
Il problema dunque riguarda tutti, non solo il Sud. In Piemonte, per dire, i NEET sono il 17,7%, come nel Lazio. Fa meglio, ma di poco, la Lombardia: 17,3%, ma erano al 15,7 un anno prima. L’Emilia-Romagna è al 13,5%.
Il confronto tra le regioni europee
Solo in quattro regioni (Marche, Molise, Campania e Sardegna) si assiste ad un calo dei ragazzi che non studiano e non lavorano. In tutte le altre nei due anni segnati anche dalla pandemia la situazione è peggiorata, in particolare in Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trento, Liguria, Umbria e Lombardia.
La tendenza al peggioramento
In generale, i dati migliori sono nelle regioni olandesi e in Svezia, dove i ragazzi che non studiano e non lavorano sono tra il 3,5 e il 3,6%, quasi nove volte meno della Sicilia. Ma su questi valori troviamo anche la regione di Praga in Repubblica Ceca e poco più su Budapest, la capitale ungherese, al 5,6%. Nelle statistiche Eurostat mancano i dati di molte regioni tedesche, ma per avere un’idea basta guardare il dato medio, sostanzialmente fermo in Germania al 7,4%, contro il 19,8% dell’Italia, dato peggiore di tutti e in aumento dal 19% del 2020. All’estremo opposto l’Olanda e la Svezia al 5,1%.
Il confronto tra Paesi
Alla luce di questi numeri, non sorprende dunque il quadro che è emerso nella prima puntata di questa serie LAB24 dedicata alle regioni europee, in cui abbiamo analizzato la presenza di giovani laureati nel mondo del lavoro, e non solo dei giovani. Tredici regioni italiane su 21 non sono solo in declino demografico perché dei pochi residenti molti decidono di andare via, ma fanno fatica a formare i pochi giovani che rimangono e a portarli fino ad un titolo universitario. E non soffre solo il Sud.
Abbastanza coerenti con questi dati sono quelli della spesa pubblica per l’istruzione nei Paesi Ue. Nel 2019 l’Italia ha speso per il sistema scolastico meno di 8,8 miliardi di euro di risorse pubbliche. È pari al 4,1% del Pil, come nel 2012 e meno della Bulgaria (4,2%), contro una media Ue del 4,7%. Non siamo proprio gli ultimi come in altre classifiche, e peggio di noi fanno Paesi come la Spagna. Ma la Svezia spende il 7,6. La Francia il 5,35% e la Germania il 4,7. Ultima è la Romania con 3,16%, ma tra i peggiori c’è anche il Lussemburgo. Evidentemente non è solo una questione di quantità di risorse, ma c’è anche un problema di qualità della spesa.
Spese per l’istruzione
Nel computo delle risorse a disposizione occorre considerare anche 3 miliardi di euro del Pon Scuola 2014-2020, il programma finanziato dai fondi strutturali europei (Fse e Fesr) e gestito dal ministero dell’Istruzione e dell’università, ex Miur, ribattezzato dell’Istruzione e del merito. Per il 2021-2027 le risorse complessive del programma Scuola sono salite a 3,8 miliardi di cui poco più di 2 finanziati dall’Unione europea e il resto assicurato dal cofinanziamento nazionale.
Il messaggio dei numeri per i policy maker non ha bisogno di essere decodificato. Se non investi sin da subito sulle nuove generazioni, perdi i ragazzi per strada e non solo ti ritrovi con tanti “NEET” che diventano un problema sociale, ma hai sempre meno giovani con livelli di formazione elevati e in grado di dare un contributo rilevante anche in termini di vitalità all’economia e alla società. E quei pochi, senza stimoli e intrappolati in un contesto sempre più statico, spesso preferiscono trasferirsi all’estero.
È la differenza tra crescita e declino
Bastasse cambiare nome ad un ministero, il problema sarebbe già risolto. Forse sarebbe sufficiente aggiungere la parola “inclusione” a istruzione e merito. Ma non è così. Serve avere la capacità di analizzare i fenomeni e di elaborare idee e progetti, oltre a qualche risorsa in più.