23 Novembre 2024

Il leader di FI: Matteo contribuì a un primo ok a von der Leyen

Andrea Crippa è il vicesegretario federale della Lega e uno degli uomini più vicini a Matteo Salvini. Fermato dai giornalisti parlamentari nel bel mezzo del Transatlantico di Montecitorio, sulle prime reagisce male e si rifiuta di rispondere: «Non parlo con nessuno, ho deciso che basta». Poi accetta di dire la sua sulle tensioni tra la premier e il suo vice leghista, divampate dopo il video di Marine Le Pen contro la leader della destra italiana: «Salvini e Meloni sull’Europa dicono la stessa cosa». Onorevole, se dicessero la stessa, la premier non avrebbe rimproverato al suo vice di dividere la maggioranza… «Meloni non sosterrà mai un governo con il centrosinistra, quindi non c’è nessuna divisione — risponde girando i tacchi Crippa —. La pensiamo allo stesso modo».

Traspare lo sforzo di non passare come il partito che spacca la coalizione, eppure gli animi restano altamente infiammabili. Si era sparsa la voce, non confermata da Palazzo Chigi, che la premier volesse chiudersi faccia a faccia con Matteo Salvini. Ma il ministro dei Trasporti ha disertato il Consiglio dei ministri, perché impegnato in campagna elettorale a Matera.

Dalla Basilicata, il leader della Lega ha rivendicato che da anni lui e la premier sono in Europa «su fronti diversi», ma si è detto convinto che Meloni non avrà bisogno di rimpasti o governi bis: «Andremo avanti fino al 2027 e, se governeremo bene, fino al 2032. Ho intenzione di essere un asse portante di questo governo, solido, stabile, coerente…».

Sarà, però i meloniani non si fidano. Nelle stesse ore, alla Camera, il leghista Edoardo Rixi scherza, ma non troppo: «Al nostro popolo piace l’instabilità». E un ministro di Fratelli d’Italia conferma la linea difensiva di Palazzo Chigi: «Elmetto ben piantato in testa fino al voto di giugno». Un assetto da battaglia che non riguarda solo la sfida con le opposizioni. Perché i parlamentari e gli esponenti del governo più vicini a Giorgia Meloni sono convinti che Salvini «non cambierà atteggiamento, perché è in difficoltà anche dentro il partito». Le voci che criticano la segreteria della Lega si stanno facendo sentire, ma gli ultimi sondaggi hanno dato un po’ di respiro perché il Carroccio in Europa sarebbe un punto sopra Forza Italia.

La rivalità tra i due vicepremier non si allenta. Salvini, rivolto a Meloni, insiste con l’invocazione «basta veti» e accusa Antonio Tajani di aver contribuito a eleggere «Ursula von der Leyen, che ha sostenuto una Commissione per me sciagurata». Il leader di Forza Italia, stufo di essere punzecchiato ogni giorno, a Tagadà su La7 reagisce tirando fuori un retroscena di cinque anni fa. Dopo le elezioni del 2019, quando Tajani era presidente del Parlamento Ue e la Lega era al governo con il M5S, Salvini «contribuì alla scelta» di von der Leyen per stoppare l’elezione del socialista Timmermans, alla quale Conte aveva dato il via libera. La «rivelazione» non farà piacere al segretario della Lega, per quanto Tajani abbia poi ricordato come Salvini «dopo una fase interlocutoria non fece votare» dai leghisti Ursula von der Leyen.

Frecciatine avvelenate, a conferma di uno scontro che rischia di destabilizzare ulteriormente la maggioranza. Mancano due mesi e mezzo al voto e già nei capannelli in Parlamento si discute di un possibile rimpasto. Tajani frena e, a Tagadà su La7, assicura che la stabilità sarà il suo mantra anche se Forza Italia dovesse superare la Lega: «Non vogliamo creare nessuno scossone al governo». Avversari in Europa, ma pur sempre alleati in Parlamento, Lega e FI sollecitano il governo a indicare la legge elettorale nella riforma costituzionale che è in discussione al Senato in commissione Affari costituzionali.

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