Fonte: lavoce.info
di Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio
Il 4 maggio torneranno al lavoro in larga maggioranza lavoratori uomini. Alle donne non resterà che farsi carico ancor di più della cura della famiglia. Anche i giovani rimangono a casa. Sono due categorie che già avevano difficoltà sul mercato del lavoro.
La conferenza stampa del presidente del C La conferenza stampa, tuttavia, ha fatto più rumore per le cose che non sono state dette. Per esempio, la gestione del rientro all’attività lavorativa per tutte quelle persone che hanno compiti di cura di bambini o anziani resta un interrogativo importante e lasciato totalmente “inevaso”. Chi se ne farà carico? Come conciliare le esigenze di rientro al lavoro e di cura della famiglia? Due settimane in più o in meno di lockdown possono fare la differenza per molte famiglie italiane.
Ma quali sono i lavoratori interessati dalla riapertura del 4 maggio? Possiamo guardare alla distribuzione per genere e per età tra i vari gruppi di attività economiche per capire quali fasce della popolazione saranno o no interessate dall’allentamento delle misure di contenimento. Per farlo, usiamo i dati di un campione delle comunicazioni obbligatorie forniti dal ministero del Lavoro riferiti al 2019, già descritti in un precedente articolo.
La figura 1 riporta la distribuzione per genere in tre gruppi di attività, classificati sulla base dei codici: quelle che riapriranno il 4 maggio, quelle che erano già aperte come da Dpcm del 25 marzo 2020 (le “attività essenziali”) e quelle che invece resteranno chiuse anche dopo il 4 maggio.
Lo squilibrio di genere risulta evidente. Il 72 per cento dei lavoratori che tornano al lavoro il 4 maggio sono uomini. Il risultato non è una sorpresa, dal momento che le attività manifatturiere e delle costruzioni sono tipicamente a predominanza maschile. Tuttavia, questo massiccio rientro al lavoro di uomini finirà per caricare di ulteriori compiti di cura le donne all’interno delle famiglie, rischiando di ridurre ancora di più la loro offerta di lavoro, già minata dalla chiusura delle scuole e dalla assenza di alternative credibili alla gestione diretta dei carichi familiari. Per le attività che erano già aperte e per quelle che resteranno chiuse si osserva un sostanziale equilibrio tra uomini e donne, anche se in quelle chiuse la percentuale femminile è leggermente superiore.
La sorte dei giovani
Per giorni prima dell’intervento del presidente del Consiglio, si è discusso poi della possibilità di un “forzato” per alcune categorie ritenute più vulnerabili, identificate genericamente negli ultra-sessantenni. Se da un lato è stato riscontrato che il tasso di mortalità del coronavirus sia più alto per le fasce più anziane della popolazione, dall’altro lato le misure di blocco delle attività produttive hanno interessato in misura maggiore i lavoratori più giovani. Le attività che riapriranno sembrano confermare il dato.
La figura 2 mostra la distribuzione per classi di età nei tre gruppi di attività economiche. È particolarmente evidente lo squilibrio tra quelle che restano chiuse
dove un lavoratore su tre ha meno di 30 anni e quasi due su tre hanno meno di 40 anni
e quelle che sono aperte o riapriranno a breve, per le quali la distribuzione è spostata verso le fasce meno giovani.
In altre parole, al di là degli annunci e delle voci che si sono rincorse nei giorni passati, sono i più giovani a sopportare le maggiori limitazioni a causa del lockdown, dal momento che anche dopo il 4 maggio molti dovranno continuare a restare a casa. Un aspetto non irrilevante, anche in considerazione dell’insufficienza dei risparmi su cui possono contare molti italiani, in particolare i più giovani probabilmente.
Questi dati impongono di riflettere non solo sulla situazione attuale, ma anche sugli scenari futuri dell’economia del nostro paese. I progressi, lenti e faticosi, registrati negli ultimi anni sul fronte della partecipazione femminile al mercato del lavoro rischiano di essere vanificati dai vincoli imposti alle famiglie in , per le quali purtroppo un bonus babysitter o un’estensione del congedo parentale potrebbero non bastare.
I giovani sono invece tra le categorie che hanno fatto più fatica a riprendersi dopo la grande recessione e la successiva crisi dei debiti sovrani, con tassi di disoccupazione elevati e redditi più bassi della media. L’ulteriore colpo alle loro prospettive lavorative potrebbe essere ancora più difficile da assorbire senza appropriati ammortizzatori.