22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Ilaria Lombardo

La candidata della Raggi vince con il 60%, centrodestra al 40. Ma due su tre restano a casa

Se c’è una morale da trarre dal voto di Ostia è che dopo un anno e mezzo di Virginia Raggi al governo di Roma, sul litorale della Capitale hanno ancora fiducia nel M5S. Così dicono le urne: la grillina Giuliana Di Pillo è la presidente del X Municipio con il 60% di voti, contro il 40% della sfidante Monica Picca, figlia di Fratelli d’Italia ma apparentata con quasi tutto il centrodestra.
Le urne però dicono anche altro: l’affluenza si inchioda al 33,6%, 62 mila persone in tutto, 4 mila 600 in meno rispetto al primo turno. In pratica due elettori su tre sono rimasti a casa. E dunque per i grillini è sì una rivincita dopo l’amarezza siciliana, una sconfitta che aveva il sapore del successo, ma come è avvenuto sull’isola a trionfare è il Signor Astenuto. A nulla è valsa la campagna per la partecipazione lanciata dal M5S, che più di altri viveva la gravità politica dell’elezione municipale. È il primo voto romano da quando Raggi è al Campidoglio, ed è il secondo tavolo da gioco a cui il M5S siede avendo come unico avversario il centrodestra. Prima è stata la Sicilia, ora Ostia, domani potrebbe essere l’Italia. Nel X Municipio il centrosinistra è uscito incenerito e si è diviso tra l’invito ad andare in spiaggia (il Pd) e chi, la sinistra, ha preferito turarsi il naso pur di non offrire una spiaggia alla destra. È a questo schema, frutto delle imprevedibili dinamiche al ballottaggio, che il candidato premier Luigi Di Maio dovrà mostrare attenzione in vista delle future e tanto vagheggiate «convergenze». Sempre che davvero i 5 Stelle vogliano ragionare attorno a un programma su cui chiedere una mano in Parlamento in caso di vittoria.
Ma c’è un prima e c’è un dopo per raccontare il voto di Ostia. Il prima: Ostia è un municipio di Roma, grosso quanto una città media certo, con oltre duecentomila abitanti, commissariato dopo l’inchiesta di Mafia Capitale, ma pur sempre un municipio, e ne avremmo parlato per quello che è se non fosse successo qualcosa che ha segnato fatalmente il voto. Il dopo: a Ostia Roberto Spada, membro dell’omonimo clan, tira una testata a un giornalista Rai, la ferita del cronista squarcia la cortina che nonostante inchieste e arresti avvolgeva il litorale. Ostia diventa un caso nazionale, un pezzo d’Italia imprigionato dal familismo mafioso, di gente che urla ai carabinieri di lasciare andare Robertino, e che dice «leccaculo» ai giornalisti.
Il risultato è la gente a sfilare di fronte a 400 agenti in più, convocati per presidiare i seggi dopo settimane di violenze e minacce, e Ostia ridotta al buco nero di tutto il Paese, dove innanzitutto sprofonda la fiducia nella politica. Ma in questa lettura del litorale romano come sineddoche dell’Italia, c’è un altro protagonista, che ha trascinato i riflettori su un fenomeno che sembrava non sfondare tra i nostri confini. Il successo di Casa Pound, che qui ha preso il 9%, ha offerto una ribalta ai neofascisti e l’occasione di poter gestire un bottino di voti. Numeri che conoscevano bene in Campidoglio, dove il riversamento delle preferenze dalla destra estrema alla candidata di FdI è stato vissuto come una possibilità concreta. Saranno i flussi a dire se alla fine non è stato così. Ostia è la vetrina dal mare della Capitale, finita in mano ai clan Fasciani, Triassi e Spada. Oggi finisce il commissariamento iniziato due anni fa dopo la caduta del minisindaco Pd Andrea Tassone, arrestato e condannato a cinque anni: ovunque si sente l’odore della salsedine ma anche quello della rassegnazione.

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