21 Novembre 2024

L’ex magistrato: «Con questo ddl il governo di destra punta a un doppio binario: pugno duro per la criminalità violenta e trattamento di riguardo per i reati economici»

«Guanti di velluto per i colletti bianchi in una logica da Far West», dice Nello Rossi, ex magistrato, esponente di punta di Magistratura Democratica, oggi direttore della rivista Questione Giustizia.

Come valuta la proposta sull’abuso di ufficio?
«Si è scelta la strada dell’abrogazione totale, anche dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto. Una soluzione sconcertante. Nell’attuazione del Pnrr il nuovo codice degli appalti consente affidamenti diretti fino a 150mila euro, si rende penalmente irrilevante il conflitto di interessi».

Con quali effetti?
«Un amministratore pubblico spregiudicato potrà fare ciò che vuole immune da conseguenze penali in una logica da Far West. Appalti dati direttamente a parenti stretti, amici o clienti politici. Anche con spudorati favoritismi».

Non crede che ridurrà la “paura della firma”?
«Osservo un singolare cortocircuito. Da un lato si riducono i controlli amministrativi, sostenendo che se ci sono reati interverrà il magistrato penale. Dall’altro lato si eliminano e riscrivono i reati, dicendo che saranno sufficienti i controlli amministrativi. Un gioco delle tre carte: in realtà sono depotenziati entrambi».

E la riforma del traffico di influenze?
«Onestamente molti magistrati ne lamentavano la formulazione. Il problema è capire se il governo vuole migliorarla davvero. Elimina la condotta fondata sulla vanteria di una relazione privilegiata con il decisore politico o amministrativo e lascia in vita solo quella basata su una relazione effettivamente esistente, da accertare in sede penale. Ma a volte i sedicenti faccendieri non sono meno pericolosi e non fanno meno danni di quelli “professionali”».

La stretta delle intercettazioni è un bavaglio?
«Aumenta l’area dei divieti, ma non si fanno passi avanti per renderli incisivi. Non credo sia la strada giusta per evitare gli abusi, peraltro quasi azzerati negli ultimi anni. E si limita la pubblicazione nella fase delle indagini alle intercettazioni che hanno l’imprinting del giudice».

È una misura garantista?
«Una limitazione pesante per il diritto dell’informazione. Si amputa una parte della realtà. E il giudice diventa arbitro unico della pubblicazione di elementi di indagine. Ci possono essere intercettazioni interessanti se non decisive, che il giudice non riporta nei provvedimenti. È giusto vietarne la pubblicazione, anche se non sono più segrete? E se contenessero una prova dell’innocenza dell’indagato o informazioni utili per la generalità dei cittadini? Persino una campagna innocentista “alla Dreyfus” sarebbe bloccata sul nascere».

E le norme sulla tutela dei terzi non indagati nella trascrizione delle intercettazioni?
«Questa tutela finirà col valere solo per i processi con indagati eccellenti. In quelli nei confronti di spacciatori, terroristi e criminali di strada nessuno porrà concretamente la questione».

Nordio ha fortemente voluto l’interrogatorio prima dell’arresto, a tutela dell’indagato.
«Il modello americano, visto in tv con l’arresto di Trump. Ma per mafia, terrorismo, reati di sangue, armi e violenza, nonché nei casi di pericolo di fuga e inquinamento probatorio, resta in piedi la vecchia misura cautelare a sorpresa. Le nuove regole varranno principalmente per i colletti bianchi. Guanti bianchi solo per loro».

L’Anm critica i limiti all’appello dei pm contro le sentenze di assoluzione.
«Su questo punto ho sempre fatto arrabbiare molti dei miei colleghi. Sono favorevole all’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, per un’evidente ragione logica e giuridica. Se il primo giudice ha assolto l’imputato nutrendo almeno un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, non è sufficiente che il giudice di appello abbia un’opinione contraria. Occorre un di più: dimostrare che la sentenza di primo grado è irragionevole o frutto di gravi violazioni di legge. Per fare questo, il pm dovrebbe poter ricorrere solo in Cassazione».

E la sentenza della Consulta del 2006, che cancellò la legge voluta da Berlusconi?
«Il clima è cambiato. C’è stata un’evoluzione nella dottrina e nella giurisprudenza. Con ogni probabilità oggi la Consulta non casserebbe l’inappellabilità».

Questo ddl è un omaggio a Berlusconi?
«Il nesso è politicamente e giuridicamente grossolano. Lasciamo stare gli omaggi e guardiamo alla sostanza. Questo ddl è un ulteriore tassello di una politica penale del governo di destra, finora gestita prevalentemente dal ministero dell’Interno, che punta a creare un doppio binario: pugno duro per la criminalità violenta e di strada; trattamento di riguardo per i reati economici e amministrativi, quelli dei “galantuomini”».

Si riparla di “persecuzione giudiziaria”. Renzi ha accusato Magistratura Democratica di averla ordita.
«Quello della persecuzione è da un trentennio un leitmotiv politico. E ciascuno è libero di avere la sua opinione a riguardo. È invece falso e diffamatorio affermare che le disparate iniziative giudiziarie di diversi uffici siano la trama unitaria di un complotto. E che a gestirlo sia stata Magistratura Democratica. Come ognuno sa, non appartenevano a Md moltissimi dei magistrati, e tra loro i più in vista, che hanno promosso quelle inchieste».

Il tema “toghe rosse” torna di moda?
«Viene agitato cinicamente come uno spauracchio, un drappo rosso per aizzare il toro di un’opinione pubblica di destra. Bisognerà mettere fine a questa indegna vulgata. E lo dice un pm di Md che anni fa ha doverosamente chiesto e ottenuto l’archiviazione di una denuncia per aggiotaggio contro Berlusconi sul caso Alitalia».

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