Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Nava

È difficile comprendere come ricucire i rapporti, anche se la Francia auspica di ritrovare una relazione di amicizia «all’altezza della nostra storia»


In diplomazia, il richiamo del proprio ambasciatore è un forte segnale di tensione, di disagio per un torto subito, di incomprensioni. Di solito, non succede fra Paesi con una lunga tradizione di amicizia e cooperazione nei campi più diversi. Di solito, bastano una telefonata fra ministri o un gesto distensivo da una parte o dall’altra, a prescindere dai torti reciproci. Se addirittura occorre risalire al tempo di guerra per avvertire un simile livello di scontro, significa che la corda, tirata troppo a lungo negli ultimi mesi, si è davvero spezzata. Si dice che a volte le parole sono pietre. In politica (e in campagna elettorale) sono pietre pesanti, perché fanno danni proprio in quegli ambiti in cui andrebbero « maneggiate » con cura e attenzione, a cominciare dalla comunità degli affari e dalle relazioni industriali, pubbliche e private, per non parlare della sensibilità collettiva, fragile e suscettibile quando si agitano le bandiere della rivalsa e del patriottismo da bar.
Come si è arrivati a questo punto è facilmente sotto gli occhi di tutti, dato che le opinioni pubbliche francese e italiana assistono da mesi a uno stillicidio di dispetti, giudizi malevoli, incursioni a gamba tesa nella politica altrui. Sul conto francese vanno messe le rudezze della polizia alla frontiera di Ventimiglia, le ambiguità sul dossier Libia, i calcoli nazionali di convenienza sul dossier Fincantieri, la scarsa disponibilità sul fronte migrazioni, il giudizio sprezzante del presidente Macron a proposito di nazionalismi e populismi paragonati alla «lebbra» o quell’aggettivo «vomitevole» pronunciato a suo tempo da un portavoce di En Marche a proposito della politica dei respingimenti del nostro ministro degli interni.
Sul conto italiano vanno messe le incursioni del governo in carica a sostegno dei gilet gialli (che sono cosa diversa da gemellaggi fra partiti e leader), il voltafaccia sulla Tav, le affermazioni strumentali sulla « Francia coloniale » (con astruse teorie sul ruolo politico della moneta Cfa), l’imbarazzante cattivo gusto di molte battute nei confronti del presidente della Repubblica e infine un atteggiamento tendente a considerare la Francia un avversario scomodo (e non un prezioso alleato) nelle complesse negoziazioni in sede europea.
Più difficile comprendere come ricucire in fretta i rapporti, anche se la nota francese sembra volere medicare subito lo strappo «per ritrovare una relazione di amicizia e rispetto reciproco all’altezza della nostra storia e del nostro destino comune». Basterebbe aggiungere «all’altezza dei nostri interessi comuni» per rendersi conto di quanto sia assurdo mettere a rischio la vastissima rete di rapporti economici, culturali, militari e umani a colpi di malintesi e insinuazioni.
Alla nota francese ha fatto subito eco la dichiarazione distensiva di Luigi di Maio, fedele al metodo collaudato di confondere la rete con battute uguali e contrarie. Ma fra freni e acceleratori è evidente un pericoloso e isterico gioco delle parti a fini elettorali. Ciò che dovrebbe essere materia di satira o scherno benevolo fra vecchi amici, diventa rivalsa, sospetto, casus belli. Il governo gialloverde ha bisogno di nemici esterni e capri espiatori per galvanizzare un elettorato disorientato dalle risse interne e deluso dai risultati. Il presidente Macron, in calo nei sondaggi e sotto scacco da dodici settimane per le proteste dei gilet gialli teme il contagio elettorale e attacca il bersaglio più pericoloso, il Paese in cui il populismo ha vinto e governa.
E’ vero che motivi di attrito non sono mancati né ieri, né oggi, con i diversi governi e nelle diverse stagioni. Basti ricordare i sorrisetti sprezzanti di Sarkozy all’indirizzo di Berlusconi o l’incomprensibile protezione «culturale» e giudiziaria accordata all’ex terrorista Battisti, anche se il nostro ministro degli interni dovrebbe sapere quanto siano complesse da caso a caso le procedure di estradizione degli altri ex terroristi che vivono in Francia. Cosi come occorre ricordare che la Francia ha spesso inteso a senso unico la cooperazione industriale, alzando barriere ogni volta che è stato possibile e favorendo invece incursioni finanziarie piuttosto spregiudicate. Basti citare un nome su tutti, Vincent Bolloré.
È tuttavia soprattutto vero che l’Italia ha molto più da perdere dallo scontro, cacciandosi in una posizione di orgoglioso isolamento, proprio nel momento in cui è sempre più stretto il rapporto fra Berlino e Parigi. Ogni governo ha il diritto di portare avanti la propria visione politica. Altra cosa è farlo con battute offensive o dando aperto sostegno a gruppi di dimostranti, senza calcolare che dispetti e battute possono tornare al mittente. Con gli interessi. Il che, prima di essere un peccato di orgoglio, è un errore strategico.

A.N.D.E.
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