Dagli apparati di sicurezza esclusi per ora segnali di escalation. La premier in tv: “Ci sono professionisti del disordine pubblico”
Allerta ma nessuna paura. Ci può essere un mondo tra due parole apparentemente simili in un settore delicato qual è la sicurezza pubblica. E infatti un mondo c’è tra l’allarme lanciato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni– «c’è un clima che non mi piace e mi preoccupa nell’anno del G7: vedo toni che mi ricordano anni molto difficili per la nostra nazione» – e lo stato di allerta in cui da mesi lavorano la polizia di prevenzione e gli apparati di sicurezza in vista dell’incontro tra i grandi del mondo che si terrà a giugno a Brindisi.
«Serve la giusta attenzione per un evento molto importante, senza allarmismi», ragiona una fonte di primo piano, che spiega perché oggi la cautela è l’atteggiamento più corretto e condivisibile. E quali segnali di pericolo, per ora, non siano stati rilevati. «Non siamo di fronte a dei gruppi organizzati che preparano qualcosa di clamoroso per il G7. Le contestazioni durante il G8 di Genova nel 2001 erano state organizzate con un anno di anticipo, dodici mesi di riunioni su una piattaforma di protesta chiara. E invece oggi non vediamo nulla di tutto questo, se non contatti sporadici tra alcuni gruppi di anarco insurrezionalisti italiani e gruppi stranieri nati, tra l’altro, per tutt’altre ragioni. I contatti – prosegue – sono stati infatti cementati negli ultimi mesi sulla vicenda Cospito. In sostanza: c’è un mondo che è in cerca perenne di un palcoscenico ma non ci sono segnali di un’escalation».
Perché allora la premier Meloni ha usato quelle precise parole, evocando addirittura gli Anni di piombo? Difficile non pensare a una motivazione prettamente politica. Anche perché era stato lo stesso sottosegretario alla presidenza e autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, a ridimensionare il pericolo di “terrorismo interno” appena alcuni giorni fa, nel corso della presentazione della relazione annuale dell’intelligence. Era stato spiegato, infatti, che i timori maggiori erano concentrati piuttosto sulle «campagne di disinformazione contro gli interessi nazionali», come si legge nella relazione, per l’appunto «durante le elezioni del Parlamento europeo e la presidenza italiana del G7». Per il resto, invece, «l’attivismo anarco-insurrezionalista» è stato definito «il più concreto e insidioso vettore di minaccia». Con un lato “pubblico” e uno “clandestino”, che poteva portare «ad atti di vandalismo e danneggiamenti, fino ad azioni, potenzialmente più pericolose, poste in essere con manufatti incendiari ed esplosivi».
Ma la scelta del G7 a Borgo Egnazia, un resort nelle campagne della Valle d’Itria lontano dai centri abitati, era stata fatta proprio per evitare zone rosse e scene di guerriglia urbana. Qualche problema potrebbe nascere per due ragioni, invece, diverse. Il clima che si è creato nelle ultime settimane proprio con la polizia dopo le manganellate di Pisa con la linea scelta dal governo. «La vera impunità che c’è in Italia ha fatto sì che ci fossero veri e propri professionisti del disordine pubblico, gente che fa questo di mestiere» ha detto ieri Meloni. E poi dalla scelta (per ragioni per lo più di collegi elettorali dei singoli ministri) delle città dove si terranno i G7 tematici: Verona, Trento, Milano, Bari sono alcune delle città che già a metà marzo cominceranno a ospitare alcuni G7 tra ministri. Tra tutti preoccupa di più quello di fine aprile (28-30) a Torino. Per l’argomento (si discuterà di clima e ambiente, argomento di grande sensibilità per gli ambienti antagonisti) e per l’organizzazione dei gruppi No Tav. Ma è cronaca. Per fortuna la storia, con gli Anni di piombo evocati dalla premier, sono molto lontani.