21 Novembre 2024

Si è interrotta la consuetudine dei dibattiti socio-economici e socio-politici, che si tengono ma si sono per lo più ridotti a eventi senza sostanza di analisi e previsione

Agosto e settembre sono già passati e forse per la prima volta da anni ci è mancata l’abituale riflessione pubblica sulle sfide, e sulle paure, che ci aspettano nell’inverno che arriva. Si è infatti interrotta la consuetudine di decine di dibattiti socioeconomici e sociopolitici organizzati un po’ dappertutto, dal lago di Como alla Valle d’Aosta, alle Dolomiti, alle grandi feste di partito, alle masserie pugliesi ( new entry recente).
Naturalmente, tutte queste occasioni di incontro si ritrovano nei calendari delle ultime settimane, ma frequentemente si sono ridotte ad eventi senza sostanza di analisi e previsione, a banali passerelle di protagonisti spesso solo presunti, ad un rituale rimestio del circostante, ad una inerte galleria del chiacchiericcio in cui si rincorrono cronache e pettegolezzi mediatici, quasi sempre di una superficialità soffocante.
A parte l’attenzione ai temi dettati da Bruxelles (patto di stabilità, equilibrio della prossima Legge di bilancio, analisi di sopravvivenza dal Pnrr), il grosso dell’attenzione pubblica si attesta alle varie crisi dei servizi pubblici (sanità e scuola in primis). Altrimenti, ulteriormente scendendo, siamo travolti dai tanti posizionamenti personali o di gruppo in vista delle elezioni europee della prossima primavera.
Non c’è stato, e sembra che non ci sia, spazio per capire, analizzare, discutere e lavorare sui processi socioeconomici reali e sui soggetti individuali e collettivi che ne sono portatori. Ci si accontenta di quel che accade, quasi strusciando i piedi nell’attuale strana autopropulsione del sistema. Restiamo tranquilli sulla rendita dei grandi processi degli ultimi trent’anni: l’economia sommersa degli anni ’70, il made in Italy degli anni ’80, la vitalità dei nostri localismi, la strategia di nicchia delle piccole e medie imprese magari terziste, la potenza delle nostre filiere, la resilienza di fronte alle ricorrenti grandi crisi finanziarie, la valorizzazione dell’esplosione turistica. È lo zoccolo duro che continua ad operare, anche con qualche stanchezza (la costante ripetizione delle «eccellenze italiane»), e su di esso ci si adagia senza nuove energie strategiche
È possibile che ciò avvenga per una certa povertà di quella carica di soggettività che è stata la protagonista del nostro sviluppo. Ma è anche e soprattutto su questo che non c’è dibattito e approfondimento. Si resta molto sul superficiale quando si tratta di capire le difficoltà di migliaia di imprese nel delicato meccanismo della de-globalizzazione, di rivedere il ruolo dello Stato come soggetto attivo dello sviluppo (siamo invece ancora impantanati sulla stagione dei bonus), di immaginare nuove e più complesse élite di sistema, di non lasciare illanguidire il vasto mondo cresciuto con la grande cetomedizzazione, di gestire la fascia bassa del mercato del lavoro e le conflittualità causate dalla crisi del cosiddetto ascensore sociale.
Il dibattito sull’inverno prossimo venturo non ci aiuta quindi ad avere idee portanti; ed in effetti, a parte alcune meritorie occasioni (penso ad alcuni interventi di de Bortoli, Di Vico, Deaglio), la dinamica della comunicazione e dell’opinione di massa è oggi soffocata dalla potenza del «circostante».
Forse realismo vuole che si lasci scorrere l’autunno, l’inverno e tutto il prossimo ciclo elettorale; ma possiamo sperare che dopo qualcosa accada, che cioè si riprenda a ragionare e a confrontarsi su una complessiva cultura della processualità e della soggettualità della nostra dinamica socioeconomica. Ci sarà una voce, magari anche maschile, che si prepara a darsene carico?

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