19 Settembre 2024

Fonte: Corrriere della Sera

di Maurizio Ferrera

C’è da sperare che il programma e i ministri del nuovo governo siano scelti tenendo ben presenti le due sfide che ci attendono, quella interna e quella esterna


Le critiche al Recovery plan sono state una delle poche ragioni di sostanza che hanno portato alla caduta del governo Conte bis. L’apertura della crisi sta però esponendo ora il nostro Paese a due grossi rischi proprio sul fronte della ripresa post Covid-19. Ogni giorno che passa si allontana la prospettiva che, entro la scadenza di aprile, possa vedere la luce un Piano ambizioso, coerente e realistico. L’ultima versione del documento (disponibile sul sito del Mef) è meglio di quelle precedenti e contiene alcune buone idee. Ma il quadro complessivo lascia ancora a desiderare. Manca una chiara gerarchia fra priorità e strumenti, le proposte hanno respiro e qualità disparate e si fa ancora fatica a capire come verranno realizzate. Su un tema cruciale come la riforma della pubblica amministrazione ci sono ad esempio ben poche indicazioni concrete su come superare quell’approccio iper-regolativo che ingessa da sempre il nostro Stato. Emblematico il capitolo sugli asili nido: dopo l’indicazione degli obiettivi di incremento dei tassi di copertura, si precisa che esso sarà realizzato attraverso «l’emanazione di atti», la definizione di procedure e graduatorie, e così via. Già immaginiamo la cascata di leggi, decreti, circolari, verifiche formali, ricorsi, sospensive che sommergerà, rallenterà e svuoterà di contenuto il processo di attuazione.
Il secondo rischio riguarda il versante europeo. A Bruxelles inizia a serpeggiare la preoccupazione che il progetto Next Generation Eu abbia fatto il passo più lungo della gamba. Cioè che i Paesi membri (soprattutto quelli che riceveranno, come l’Italia, ingenti sovvenzioni e prestiti) non abbiano una adeguata «capacità di assorbimento», in termini non solo di spesa ma anche e soprattutto di allineamento alle linee guida, ai grandi obiettivi tematici concordati insieme in Europa.
Ricordiamo che le risorse messe a disposizione dalla Ue proverranno da debito comune, garantito da tutti i Paesi: una svolta epocale, se pensiamo alle storiche resistenze su questo fronte dei Paesi frugali e della Germania. Se venisse tuttavia a mancare la capacità di assorbimento, nei Paesi del Nord potrebbe velocemente erodersi la disponibilità a sostenere nel tempo qualsiasi schema di redistribuzione territoriale delle risorse, su base solidaristica. L’assenso alla sospensione del Patto di stabilità, prima, e all’emissione di titoli comuni da parte della Commissione, poi, è stato concesso per realizzare un’agenda comune. Il collegamento fra i due elementi della strategia (debito in cambio di investimenti e riforme strutturali) è strettissimo. Ai primi segni di divergenza, gli umori sono destinati a cambiare. Non solo svanirebbe la prospettiva di rendere permanente lo strumento finanziario del Next Generation, ma potrebbero essere anche ridimensionate le risorse già allocate.
A Bruxelles si stanno anche discutendo le regole del nuovo Patto di stabilità, che dovrebbe tornare in vigore nel 2022. In Germania si è riaperta l’annosa questione del «freno di bilancio» (il vincolo di pareggio) introdotto nel 2009 e che è stato temporaneamente sospeso a causa della pandemia, su iniziativa di Angela Merkel e Olaf Scholz. La recente proposta del sottosegretario alla Cancelleria federale Helge Braun di non re-introdurre questo freno ha provocato una vera e propria levata di scudi da parte dell’establishment cristiano-democratico e liberale. Un ampio segmento della classe dirigente tedesca (olandese, austriaca, danese e svedese) non ha digerito né la conversione della Ue a politiche di «crassa» ispirazione keynesiana, né la fiducia accordata ai Paesi del Sud. Merkel non si ricandiderà alle elezioni del prossimo settembre. E la sua uscita di scena potrebbe lasciare spazio a un ritorno dei sostenitori di una austerità basata su rigidi criteri numerici e pesanti condizionalità. La bassa capacità di assorbimento fornirebbe la scusa per riportare indietro di dieci anni le lancette della governance macro-economica Ue.
I protagonisti della crisi di governo italiana stanno oggi pensando a tutt’altro. Prima o poi però le consultazioni finiranno, si dovrà pur parlare di agenda e di persone. C’è da sperare che sia il programma sia i ministri del nuovo esecutivo vengano scelti anche in base alle due sfide — interna ed esterna — del Recovery. Per contenere i rischi, il nuovo governo dovrà dare subito prova di aver fatto proprio l’imperativo dell’iniziativa Next Generation Eu: fare investimenti e riforme serie, con proposte chiare e dettagliate, a favore delle prossime generazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *