La partecipazione al voto è in diminuzione dalla seconda metà degli Anni ’70. Nel 2018, anno delle ultime elezioni politiche, l’astensionismo ha raggiunto il massimo, il 27 per cento. Le donne sono sempre state più lontane dalla politica. Nel 2018, cinque punti di differenza, non poco.
Cambierà questo andamento? Difficile ancora dirlo.
Certo è che la situazione è particolarmente complessa.
Per la crisi che attraversa il Paese, perle vicissitudini politiche spesso poco comprensibili ai più. Ad esempio, conterà più l’atteggiamento favorevole nei confronti di Draghi, tuttora fortemente presente nella popolazione, oppure la fedeltà al proprio partito o alla propria area politica per quegli uomini e donne che non hanno approvato la mancata fiducia al governo Draghi? Aumenterà l’astensione per questi settori di popolazione delusi dai partiti che hanno contribuito alla caduta del governo Draghi o questo aspetto conterà poco? E si ricercherà comunque una soluzione nuova? Difficile dirlo. Certo è che la fluidità dell’elettorato è elevata.
Se è ardua una valutazione complessiva, non da meno è quella che riguarda la partecipazione delle donne.
E allora chiediamoci perché dovrebbero votare più di prima? E stato fatto qualcosa di veramente importante nei confronti delle donne in questi quattro anni tale da farne crescere la loro partecipazione al voto? Le donne hanno vissuto momenti durissimi. Hanno perso più occupazione degli altri. Hanno subito maggiormente gli effetti del Covid perché rappresentano il 70% dei lavoratori della Sanità, e anche quelli del lavoro a distanza assumendosi il carico di lavoro familiare in contemporanea a quello extradomestico. Perché dovrebbero sentirsi più soddisfatte dei risultati raggiunti attraverso le politiche? Anche gli investimenti del PNRR non sono ancora visibili nei risultati e non sono stati certo ingenti come investimenti nei servizi che possano alleggerirei) carico di lavoro familiare.
Per di più anche gli avanzamenti normativi che le riguardano precedenti ai quattro anni non si sono tradotti in realtà. La legge 194 non è applicata adeguatamente. La legge sulla violenza non si è tradotta in potenziamento adeguato dei centri antiviolenza e servizi pubblici. I giorni di congedo di paternità
sono pochissimi. La legge sui nidi pubblici del 1971 non è stata applicata e così quella sull’assistenza del 2000. Gran parte del lavoro di cura continua ad essere sulle spalle delle donne.
Le donne avrebbero tutte le ragioni per non votare.
Anche il fatto che non si parla di come risolvere la loro situazione. Lo so benissimo che ci sono tante donne in politica che si fanno in quattro per portare avanti gli interessi delle donne. Fanno bene e devono continuare a farlo. Senza tregua. Ma non bastano. Le proposte devono essere portate avanti dai leader in prima persona, veicolate da loro con forza, altrimenti nessuna ci crederà che siano realmente una priorità. E invece si sentono poco! Troppo poco nei canali di informazione che contano.
Se le ragioni del non voto delle donne sono legittime penso che proprio per le donne sia vitale votare. Per far sentire le proprie istanze e la propria presenza. Superando la sfiducia e comprendendo che solo il protagonismo in tutti i campi può essere l’arma vincente in una democrazia. Siamo andate avanti in tutti i campi essendo protagoniste e con la nostra forza. Nessuno ci ha regalato niente. Il voto è una facoltà di cui avvalersi. Attivamente. Facciamolo. E rafforziamo chi sentiamo più vicino o meno lontano dalla difesa dei nostri diritti.
*L’intervento dell’autrice è a carattere personale