22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Francesco Giavazzi

Le leggi di bilancio che i Paesi dell’Ue devono inviare a Bruxelles entro il 15 ottobre saranno valutate dalla Commissione oggi in carica, con buona pace di chi nel nostro governo sperava di potersi liberare del Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici

La decisione del Consiglio europeo di spostare al 31 ottobre, ma non oltre, la scadenza per un’eventuale uscita del Regno Unito dall’Unione europea è stata fortemente voluta da Emmanuel Macron. Il presidente francese infatti non vuole che il primo ministro britannico, di un Paese che fra pochi mesi potrebbe essere fuori dall’Unione, partecipi alla scelta di chi guiderà l’Europa dopo le elezioni di maggio, e cioè il presidente della Commissione, il presidente del Consiglio europeo e l’Alto commissario per la politica estera e della sicurezza, posizione oggi ricoperta da Federica Mogherini. È quindi possibile che queste scelte avvengano non prima dell’autunno, quando sarà scaduto l’ultimatum al Regno Unito e si saprà con certezza se è dentro o fuori dall’Europa.

Attorno a novembre, una volta designato, il successore di Jean-Claude Juncker avvierà le consultazioni per la scelta dei commissari. È quindi improbabile che la nuova Commissione inizi a lavorare prima di Natale. Ciò significa che le leggi di bilancio che i Paesi dell’Ue devono inviare a Bruxelles entro il 15 ottobre saranno valutate dalla Commissione oggi in carica, con buona pace di chi nel nostro governo sperava di potersi liberare del Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici. Come se fossero lui e i suoi colleghi a impedirci di esercitare la nostra sovranità in materia di bilancio pubblico.

La Commissione non fa altro che ricordare regole che i Paesi membri si sono liberamente date e impegnati a rispettare in alcuni casi addirittura scrivendole nella Costituzione. Si può fare in modo che alcune di queste regole vengano rese piu’ ragionevoli, ad esempio distinguendo fra spesa corrente e spesa per investimenti pubblici. Ma finché non cambiano non possono essere violate. Eventuali modifiche richiedono la capacità di aggregare un consenso, che in quest’ultimo anno abbiamo fatto ben poco per costruire.

Ma c’e’ un’altra conseguenza dell’accordo raggiunto sul rinvio a ottobre di un’eventuale Brexit: la scelta del nuovo presidente della Banca centrale europea non avverrà simultaneamente alla scelta dei presidenti di Commissione e Consiglio. Il mandato di Mario Draghi scade il 31 ottobre e chi gli succederà verrà scelto, come è tradizione, prima dell’estate. Sarà quindi una scelta basata sulla competenza tecnica, mentre è improbabile che Francia e Germania rischino, mandando a Francoforte un loro candidato, di precludersi le posizioni politiche che verranno decise a novembre. Continueremo ad avere quindi una Bce tecnica ed indipendente, come è bene che sia, anche qui con buona pace di chi sperava che la politica potesse imporre una svolta alla banca centrale nel senso di asservirla alle esigenze di bilancio degli stati.

La riforma dell’Europa richiede tempo e, come detto, la capacità di aggregare un consenso. Francia e Germania lo stanno facendo, ad esempio in tema di riforma dell’eurozona, con un lavoro di ampio respiro che da anni coinvolge politici, studiosi e funzionari pubblici. Tavoli dai quali abbiamo scelto di escluderci sebbene gli argomenti che vi si discutono, ad esempio l’opportunità di imporre limiti a quanti titoli pubblici le banche possono detenere, siano per noi cruciali.

Invece ci affidiamo all’illusione che le nostre idee si impongano «per magia». E quando ciò non accade chiamiamo l’Europa una «matrigna» distaccandocene ancor più ed altrettanto riducendo la nostra influenza.

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