19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

eurotower

di Franco Venturini

Anche per l’Italia è difficile conciliare alleanze globali e interessi nazionali. Perché Trump, per restare fedele alle premesse elettorali, sta cambiando lo scenario

Sulla scena mondiale l’Italia si muove da sempre in una categoria di medie potenze dove per lasciare il segno bisogna conciliare alleanze internazionali e interessi nazionali. Formula questa ampiamente collaudata che quasi mai ha comportato problemi, ma che è diventata particolarmente complessa da quando Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti e si è prefisso di scuotere i pilastri di un sistema che in altri tempi proprio l’America aveva disegnato. Il Trump presidente vuole restare fedele al Trump candidato, e allora ecco le mosse protezionistiche e i trattati commerciali gettati alle ortiche, ecco i grandi elogi alla Brexit e le previsioni funeree per l’Europa, ecco la durezza estrema sull’immigrazione e le critiche velenose a una cancelliera Merkel di fatto già impegnata in campagna elettorale. Prima ancora che Paolo Gentiloni ricevesse una cordiale telefonata dalla Casa Bianca, era toccato a Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo e portatore non si sa quanto felice di una ironica omonimia, il compito di rispondere per le rime alle scorribande verbali di Donald Trump. Ma subito dopo il polacco Tusk aveva ricordato che l’alleanza e l’amicizia con gli Usa sono la più alta priorità dell’Europa sulla scena internazionale. Concetto che Gentiloni ha avuto modo di ribadire a nome dell’Italia, senza però poter esprimere la generale e vivissima speranza degli europei che i fuochi pirotecnici provenienti dallo Studio Ovale possano tra non molto placarsi.
Non perché il presidente Trump avrà cambiato rotta, ma piuttosto perché le necessarie credenziali di fermezza saranno già state offerte al popolo degli elettori statunitensi, e il Congresso, poco a poco, si sarà impadronito del ruolo che gli spetta. Eppure, in attesa di verificare quale sarà l’evoluzione presidenziale di Donald Trump, l’Italia farebbe bene ad alzare da subito il suo sguardo ipnoticamente attratto dal toto-voto e dai relativi sondaggi. Perché attorno alla nostra provinciale indifferenza sta cambiando il mondo, e vicinissimo a noi sta cambiando l’Europa. Se Trump prenderà davvero di petto la Ue (o la Nato, cosa peraltro assai meno probabile), quali saranno le scelte dell’Italia? Dal dopoguerra che fissò le alleanze e le appartenenze dell’Italia non ci eravamo mai trovati, nemmeno a livello ipotetico, in un simile dilemma. Ma questa volta l’ipotesi potrebbe diventare realtà. E allora crediamo che la via da seguire vada dibattuta come avviene in altri Paesi come noi immersi in più o meno lunghe vigilie elettorali, crediamo che si debba rafforzare la definizione dei nostri interessi nazionali, crediamo che l’opinione pubblica vada coinvolta in una prova di maturità strategica senza dare troppo presto per vincitori i movimenti «populisti».È molto positivo che Gentiloni e Trump si siano dati appuntamento al G-7 di maggio a Taormina. Senza che la presidenza italiana abbia rivolto inviti a leader come Putin, che con la loro presenza avrebbero dovuto accrescere l’importanza del vertice e rendere più sicuro l’arrivo in Sicilia del capo della Casa Bianca (tra l’altro Trump ha detto a Theresa May che è troppo presto per parlare di revoca delle sanzioni alla Russia, e con le sanzioni in atto pare improbabile che Putin voglia partecipare). Ma più ancora dell’impegno di Trump ad essere a Taormina, è stato ed è importante per l’Italia non rendersi protagonista di una lacerazione europea sul tema sempre delicato dei rapporti con Mosca. Un tema cruciale, che va discusso non in relazione ai tradizionali tormenti formali della nostra politica estera, ma nella sostanza: gli europei possono concordare tra loro sull’opportunità di non farsi scavalcare dagli Usa nell’eventuale disgelo con il Cremlino? Esistono le basi di un compromesso tra gli europei «vecchi» e quelli «nuovi» dell’est, preoccupati dagli intenti distensivi della Casa Bianca? Trump è interessato al contributo europeo, oppure vuole muoversi da solo come peraltro l’America ha sempre fatto quando si è trattato di dialogare o di litigare con Mosca?
Chiarito che l’alternativa tra America ed Europa non deve porsi, e che è nostro primario interesse che non si ponga, va anche detto che con Trump al timone l’ipotetico errore di subordinare i nostri legami europei a quelli transatlantici diventerebbe ancora più grave dopo l’annuncio fatto venerdì da Angela Merkel al vertice di Malta. Auspicare una Europa a più velocità, sulla carta, è un esercizio banale. Le diverse velocità esistono da tempo, sono presenti nei Trattati e hanno già trovato non poche applicazioni: nella zona euro, in quel che resta di Schengen, nella pratica delle cooperazioni rafforzate per citare le principali. Ma il fatto è che Merkel è andata molto oltre, ha voluto indicare una «via tedesca» al futuro prossimo dell’Europa e non lo ha fatto soltanto per placare le inquietudini degli elettori germanici. La formula evocata a Malta, piuttosto, conferisce per la prima volta contenuto politico alle «integrazioni differenziate» di cui da tempo si discute, e prevede davvero la serie A, la serie B e i tornei di promozione. Altro che la telefonata un po’ tardiva di Trump. Se l’Europa si sgretolerà nell’anno elettorale in corso (ma le probabilità che ciò avvenga vanno diminuendo) ne nascerà una molto più piccola disegnata a Berlino. Se invece la Ue sopravviverà, sarà sempre Berlino con qualche altra capitale a promuovere l’integrazione à la carte che Merkel vorrebbe annunciare in marzo a Roma, in occasione del sessantesimo dei Trattati.
In entrambi i casi il nostro interesse nazionale primario è quello di esserci, nella «nuova Europa», anche per non correre il rischio di dover affrontare l’orda dei creditori con una moneta svalutata. Ma con il nostro debito pubblico e la nostra debolissima crescita, con il braccio di ferro contabile che periodicamente ci contrappone a Bruxelles, con le speculazioni politiche che ogni giorno rovesciano colpe sull’Europa e disorientano la nostra opinione pubblica, siamo sicuri di poter essere della partita? Una casa comune europea, anche rimpicciolita, ci è indispensabile. Oltretutto, così potremo dialogare meglio con gli amici e alleati americani.

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