10 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Maurizio Bonazzi

Nella pandemia dilagano le metafore della guerra. Ma forse è un modo per nascondere indecisioni e incertezze e anche impreparazione


In guerra non c’è tempo per discutere, bisogna agire. Serrare le fila, lasciare da parte le divergenze e combattere uniti. Per il resto ci sarà tempo dopo. Che siamo in guerra ci è stato ripetuto infinite volte in questi mesi così impegnativi. In Italia, in Europa, nel mondo tutti i più importanti leader politici sono ricorsi a questo linguaggio per giustificare decisioni e provvedimenti. Poi la guerra finisce e si torna a costruire. E oggi? È finita la guerra, va avanti? Cosa dobbiamo fare allora, uscire, stare in casa, cosa? Curiosamente, soltanto un leader mondiale non ha mai fatto uso delle metafore belliche: Angela Merkel. Forse perché in Germania queste immagini rimandano a un passato ancora troppo problematico; forse per via del suo carattere così controllato e schivo, poco propenso alla ricerca di frasi ad effetto. Fatto sta che Angela Merkel non ha mai evocato scenari di guerra: ha cercato di evitare troppe metafore, e quando le ha usate ha parlato di ghiaccio sottile o corsa sulla lunga distanza. Ha dato una prospettiva temporale quando gli altri si trinceravano nel qui e ora. Si è rivolta all’intelligenza delle persone, non alle loro emozioni.
Sarà un caso se la Germania sta facendo meglio di molti altri Paesi? Di certo sta mostrando che anche le parole contano, soprattutto in politica. Perché sono le parole che ci aiutano a mettere in ordine la realtà che ci circonda: e le parole, diceva il sofista Gorgia, sono come un farmaco, possono curare o avvelenare, dipende da come le si usa. In molti sospettano che l’uso delle metafore belliche, questa permanente evocazione di un clima emergenziale, miri al disegno di limitare le libertà democratiche. Da noi è più probabile che questo linguaggio sia stato sfruttato per nascondere indecisioni e incertezze e anche impreparazione, purtroppo, in taluni casi. Anche in questo secondo caso non si è reso un buon servizio alla democrazia, che è un sistema di cittadini responsabili, non di bambini da spaventare o consolare a seconda delle circostanze.

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