Viktor Orbán potrebbe davvero contribuire a concludere la pace tra Russia e Ucraina? La risposta è un semplice no. Tuttavia, la domanda appare più che lecita e ha accompagnato la visita del premier ungherese ieri a Kiev. Non è una novità. Se ne era parlato già pochi giorni fa a Bruxelles, poco prima dell’inizio del semestre ungherese alla presidenza della Ue, quando Orbán e Zelensky si erano intrattenuti a discutere. Uno sviluppo rilevante, visto che, dall’inizio dell’invasione russa, Budapest ha criticato l’embargo economico ai danni di Mosca e si è schierata contro l’invio delle armi all’Ucraina.
Soprattutto, la situazione è in evoluzione. Zelensky sa bene che il suo Paese è stanco di guerra: dopo il summit in Svizzera a metà giugno, che intendeva creare un fronte alleato destinato ad elaborare una proposta di pace, adesso rilancia con il prossimo, che nelle sue intenzioni dovrebbe includere anche una delegazione russa. Sui campi di battaglia prevale lo stallo, con centinaia di vittime quotidiane. Grazie ai nuovi arrivi di armi americane ed europee, i soldati russi muoiono a grappoli per cercare di guadagnare poche decine di metri al giorno. Orbán mantiene rapporti amichevoli con il Cremlino, ha incontrato i leader cinesi: non è strano che aspiri al ruolo di mediatore del destino, il falco della destra populista europea capace di mettere assieme Putin e Zelensky.
Vorrebbe, ma non può. A Mosca e Kiev fanno capire che la via di un possibile negoziato non passa dall’Ungheria. «Non ci aspettiamo alcun risultato dalla sua visita in Ucraina. Orbán prima di partire non ha avuto alcun contatto con noi», dichiara il portavoce russo Dmitry Peskov. A Kiev in questa fase la proposta di cessate il fuoco è vista come una resa a Putin e l’accettazione delle terre occupate da parte dell’esercito russo. Ma Zelensky non farà alcuna concessione territoriale se la Nato non garantirà un ombrello di difesa militare. Nessuno nasconde che Putin attende il risultato delle elezioni Usa per poi trattare con il prossimo presidente. E Orbán non ha alcun peso sugli elettori statunitensi.
Soprattutto, la situazione è in evoluzione. Zelensky sa bene che il suo Paese è stanco di guerra: dopo il summit in Svizzera a metà giugno, che intendeva creare un fronte alleato destinato ad elaborare una proposta di pace, adesso rilancia con il prossimo, che nelle sue intenzioni dovrebbe includere anche una delegazione russa. Sui campi di battaglia prevale lo stallo, con centinaia di vittime quotidiane. Grazie ai nuovi arrivi di armi americane ed europee, i soldati russi muoiono a grappoli per cercare di guadagnare poche decine di metri al giorno. Orbán mantiene rapporti amichevoli con il Cremlino, ha incontrato i leader cinesi: non è strano che aspiri al ruolo di mediatore del destino, il falco della destra populista europea capace di mettere assieme Putin e Zelensky.
Vorrebbe, ma non può. A Mosca e Kiev fanno capire che la via di un possibile negoziato non passa dall’Ungheria. «Non ci aspettiamo alcun risultato dalla sua visita in Ucraina. Orbán prima di partire non ha avuto alcun contatto con noi», dichiara il portavoce russo Dmitry Peskov. A Kiev in questa fase la proposta di cessate il fuoco è vista come una resa a Putin e l’accettazione delle terre occupate da parte dell’esercito russo. Ma Zelensky non farà alcuna concessione territoriale se la Nato non garantirà un ombrello di difesa militare. Nessuno nasconde che Putin attende il risultato delle elezioni Usa per poi trattare con il prossimo presidente. E Orbán non ha alcun peso sugli elettori statunitensi.