Non è un reazionario chi desidera che il mondo non proceda in avanti troppo velocemente, ritiene che la cautela è d’obbligo e pensa non convenga disprezzare la tradizione
In Italia — dove la passione politica ha spesso un carattere divorante — dire conservatore induce molti a pensare subito a Salvini o a Meloni, alla destra, alla strage della stazione di Bologna, alle vittorie di Berlusconi e via di questo passo.
Ma non tutto è politica, o è immediatamente politica. Proprio un tale ossessivo appiattimento di tutto sulla politica — in specie da parte dei media televisivi, i quali solo di politica amano occuparsi e sempre alla politica ricondurre maniacalmente tutto — proprio questo, anzi, è ciò che obbliga la nostra discussione pubblica, di qualunque argomento si tratti, ad avere anch’essa un carattere immediatamente politico, anzi partitico, rissoso e retorico; nel merito quasi sempre spaventosamente approssimativo.
Che cosa vuol dire allora un punto di vista conservatore, se non è il punto di vista di un gemello di Salvini o di un adepto di Fratelli d’Italia?
Un punto di vista conservatore è innanzi tutto un punto di vista pessimista. Il conservatore, infatti, è uno convinto che gli esseri umani non sono portati naturalmente al bene. Che anzi se possono fare qualcosa di male essendo sicuri dell’impunità, nel novantanove per cento dei casi scelgono di farlo. In sostanza, un conservatore, anche se non lo sa, è uno che crede nel peccato originale. Non vergognandosi, pertanto, di conservare sulla modernità e i suoi benefici una meditata riserva.
È uno, quindi, che proprio perciò guarda con un certo scetticismo a tutti i vasti propositi di cambiamento, alle grandi promesse di miglioramento, agli impegni di svolte decisive, di riforme radicali, di cui si nutre la politica.
Sa, o pensa di sapere, infatti, che spesso le riforme invece di migliorare le cose creano problemi ancora più grandi, se addirittura non le peggiorano. Sicché di fronte ai progetti di mutamento, specie se vasti e mirabolanti, la sua prima richiesta è che almeno si entri nei dettagli e se ne indichi con qualche precisione il costo.
Naturalmente il conservatore non crede neppure all’esistenza o all’improvvisa comparsa di qualche demiurgico salvatore dell’umanità: alla «classe operaia», ai «giovani», alle «donne», a Greta Thunberg o alle Sardine. E neppure naturalmente alle presunte virtù della borghesia, della quale al massimo può apprezzare, per l’appunto, la scarsa propensione ai voli pindarici.
Un conservatore peraltro — si badi — non è un reazionario. Non intende fermare il mondo e tanto meno farlo tornare indietro. Ciò che desidera è che non proceda in avanti troppo velocemente dal momento che non riesce a togliersi mai dalla mente il dettato della legge di Murphy: «Se qualcosa può andare storto, lo farà». Nel cambiare la cautela è d’obbligo. E ci sono cose che è meglio non cambiare: dalle gerarchie degli studi del merito e delle competenze alle ricette di certi piatti.
Il conservatore è convinto che in generale non convenga disprezzare la tradizione e tutto ciò che vi si riferisce. Che il senso comune, la morale corrente, le idee ricevute, vanno trattate con riguardo, non sono spazzatura. Che dunque esistono gli uomini e le donne, ad esempio: sebbene non gli passi neppure per l’anticamera del cervello d’impedire a chiunque di sentirsi l’uno o l’altra o, se proprio vuole, entrambi e di comportarsi di conseguenza. Purché ciò, beninteso, non venga usato per minare l’idea che esista quella cosa che si chiama natura, o per sbizzarrirsi nel fondare qualche nuovo concetto di normalità.
gualmente egli pensa che esistano le nazioni, ad esempio che esista l’Italia: il che non gli dispiace. Quindi amerebbe che a cominciare dalle aule scolastiche — la scuola è una sua particolare fissazione — se ne apprendesse la storia, l’arte la letteratura e che se possibile se ne conservasse anche la lingua. Non solo: ma ad esempio che se ne proteggessero i paesaggi dall’invasione delle pale eoliche, le spiagge dall’eccessiva presenza di cabine e di ombrelloni, le vie e le piazze dal pullulare dei tavolini di bar e ristoranti.
Il conservatore insomma vorrebbe che non andasse in malora il mondo in cui è nato. Anche per questo egli ama la Patria, benché sulla base di una triste esperienza (e per un certo buon gusto) diffidi dei «patrioti», specie di quelli che a gran voce si proclamano tali. Il che non significa che allora egli sia contro l’Europa. Ne apprezzerebbe molto, però, una minore dose di retorica buonista e di autocompiacimento (a suo avviso entrambi insopportabili), e se ne aspetterebbe un maggiore realismo circa il suo eventuale futuro. Magari anche un maggiore scrupolo affinché a tutti i suoi membri siano riservati gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Più che l’Unione europea — eternamente in fieri tra mille incertezze — egli tuttavia predilige l’idea di Occidente. Che gli ricorda ciò in cui crede e che ama: i racconti che ha ascoltato da bambino, le forme della bellezza e del pensiero che gli sono familiari e che lo emozionano, i vasti drammi della storia che continuano a vivere in lui. Va aggiunto che un conservatore crede nella pari dignità di tutte le culture, certamente; si rifiuta però di sottoscrivere la menzogna che tutte abbiano avuto un pari ruolo e significato sulla scena del mondo. E lo lascia assai freddo pure l’ipotesi, che giudica utopica, di un loro felice, futuro amalgama.
In generale, e per mettere un punto, il conservatore è comunque convinto dell’assoluta necessità di obbedire alle leggi dello Stato e alle prescrizioni del governo (contro quelle sgradite aspetta di vendicarsi il giorno delle elezioni). Si fa quindi un punto d’onore nel pagare le tasse e il biglietto del tram, nel non occupare il parcheggio riservato ai disabili così come nel vaccinarsi. Poiché poi è un estimatore della coesione sociale, il conservatore, contrariamente a un’opinione diffusa non ama affatto le diseguaglianze. Sa però che ogni tentativo di eliminarle è finito malissimo e proprio perciò è convinto che un certo coefficiente d’ineguaglianza è ineliminabile. Ma non fosse altro che per pure ragioni egoistiche (si vive meglio se non si è circondati dalla miseria) desidera che un tale coefficiente sia tenuto sotto il più stretto controllo. Anche a costo di doverci rimettere di tasca propria.
Ecco all’incirca in che cosa consiste un punto di vista conservatore. Per certi aspetti, com’è evidente, esso ha un chiaro risvolto ideologico-culturale di destra. Ma forse non solo, direi. Mi sembrerebbe degno comunque di un Paese civile che il sistema mediatico più accreditato e la discussione pubblica trovassero il modo di non ostracizzarlo, di prestargli un certo ascolto senza però che intervenga subito a bacchettarlo e a metterlo a tacere il conduttore o la conduttrice di turno.