Il Pnrr destina una somma rilevante al rafforzamento della prevenzione, dei servizi sul territorio e della digitalizzazione. Ma serve anche altro
I progetti di investimento del Pnrr sono raggruppati in sei missioni delle quali l’ultima è relativa alla salute, la cui dotazione prevista è di 15,63 miliardi (corrispondenti all’8,16% dei complessivi 191,50 miliardi stanziati a favore dell’Italia). Una cifra piuttosto rilevante, per altro implementata da ulteriori 5 miliardi circa di fondi complementari, con la quale si dovrebbe rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, la modernizzazione e digitalizzazione del sistema sanitario e garantire l’equità di accesso alle cure. Una parte molto consistente delle risorse verrà distribuita tra le Regioni che, come è noto, hanno la responsabilità diretta della realizzazione degli obiettivi di salute del Paese.
Al netto di ogni valutazione in ordine alle risorse destinate, che verosimilmente potevano essere anche più consistenti, è certo che l’impegno relativo al miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale deve essere profuso senza riserva alcuna per conseguire la piena attuazione del programma di investimento che, è bene ricordarlo, deve essere concluso entro il 2026. Inutile dire che si tratta di un’occasione imperdibile che potrebbe consentire al nostro Paese, colpito più di altri dalla pandemia, di proiettare il proprio sistema sanitario in una dimensione più evoluta rispetto ad altri del Vecchio Continente. A ben vedere, non si tratterebbe di una novità assoluta poiché già con la prima grande riforma sanitaria del 1978 (legge 833) lo Stato italiano è risultato essere all’avanguardia avendo trasformato il proprio sistema sanitario di stampo strettamente mutualistico, quindi caratterizzato da interventi discrezionali a vantaggio di determinate categorie di soggetti ritenute più bisognose, in altro di tipo universale, cioè accessibile a tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali, per la salvaguardia della salute fisica e psichica.
La modernità del nuovo Servizio Sanitario Nazionale, fondava su presupposti culturali e politici volti ad attuare pienamente i principi costituzionali di tutela della salute contenuti nell’articolo 32 della Carta. Ma anche nella risolutezza di voler razionalizzare l’impianto strutturale dello Stato dando rilievo e riconoscimento alle autonomie e ai corpi intermedi. Purtroppo negli anni a seguire si è gradualmente e inesorabilmente diffusa la fondata opinione che nel settore sanitario vi fosse uno sperpero di finanze pubbliche a causa di una inadeguata applicazione della riforma del 1978. In verità, a una valutazione della questione scevra da pregiudizialità politiche, si poteva già allora accertare che in altri Paesi omologhi al nostro, come ad esempio la Germania, la spesa sanitaria era più alta. Pur tuttavia, è da quel momento che, soprattutto a causa della conflittualità e inadeguatezza della politica a concretizzare pienamente i principi della riforma, vengono emanate varie leggi di modifica della stessa nel tentativo di eliminarne le distorsioni e per contenere le spese sanitarie, ritenute responsabili del dissesto finanziario italiano. Una progressione che ha alimentato la crescente concezione di «meno Stato e più mercato» sul cui presupposto veniva introdotto il concetto di «azienda» nella sanità pubblica che ha dato luogo alla trasformazione delle Usl in aziende autonome, finanziate dalle Regioni con il sostegno integrativo dello Stato.
Paradigmatico dei numerosi e non di rado criptici interventi legislativi nella sanità, sono gli acronimi utilizzati in questo settore che costringono il cittadino a imperscrutabili percorsi soltanto per comprendere il funzionamento degli enti che vi operano.
La forza della memoria storica, ci induce a considerare che se dalla pandemia vogliamo effettivamente realizzare il diritto alla tutela della salute, nella sua accezione attuale comprensiva di quello di ambiente salubre e non inquinato, dobbiamo ripensare il sistema sanitario come cardine del più ampio welfare di comunità, promuovendo una normativa più omogenea che non trascuri di valutare che nei prossimi dieci anni, come tutte le proiezioni statistiche ci indicano, la curva dell’invecchiamento della popolazione arriverà al livello più alto.