19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

Il 5 agosto si insedia il vincitore delle elezioni iraniane Raisi: da quel momento il negoziato può riprendere ma a tirare le fila sarà l’Ayatollah Khamenei in persona

Per rinnovare l’accordo anti-nucleare con l’Iran siamo in dirittura d’arrivo, ma prima di tagliare il traguardo bisognerà giocare un’ultima durissima partita a scacchi. Così una fonte occidentale vicina ai negoziati di Vienna riassume l’attuale stallo delle trattative, il cui successo è indispensabile all’economia iraniana ma anche al prestigio del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che appena eletto mise la riattivazione del patto del 2015 (affondato da Trump nel 2018) ai primissimi posti dei suoi obbiettivi.
Oltre ai due massimi protagonisti, i colloqui di Vienna interrotti per l’ennesima volta il 20 giugno coinvolgono la Germania, la UE, la Russia e la Cina, e indirettamente coinvolgono l’assente Israele che rimane fortemente contrario ad ogni compromesso negoziale con Teheran. Ma saranno evidentemente USA e Iran, nella complessa partita che si apre, a decidere l’esito finale del braccio di ferro.
La speranza degli occidentali, e anche dei russi e dei cinesi, era di rinnovare l’originale intesa (limitazioni nucleari iraniane contro revoca di sanzioni USA) entro la fine di maggio. Cioè prima delle elezioni presidenziali iraniane del 18 giugno scorso che hanno visto la vittoria dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi. Ma oggi sono gli stessi occidentali a credere che quel traguardo era illusorio alla luce di un’altra partita a scacchi, in corso questa volta all’interno dell’Iran.
Prima mossa: il presidente uscente Rouhani è stato di fatto emarginato già in maggio, e desta qualche scetticismo la sua sparata dei giorni scorsi secondo cui l’Iran è già in grado di arricchire l’uranio al 90 per cento, cioè al livello richiesto per produrre un ordigno nucleare. Seconda mossa: il 5 agosto si insedia il vincitore Raisi. Terza mossa: da quel momento il negoziato può riprendere (forse a metà mese) ma a tirare le fila sarà l’Ayatollah Khamenei in persona, più che mai capo supremo dopo l’avvento del suo protetto Raisi.
Poco importa se nel frattempo gli USA colpiscono le milizie sciite filo-iraniane in Iraq, e se le Guardie rivoluzionarie di Teheran incitano le stesse milizie a colpire più duramente l’America. Lo sfondo di un eventuale accordo sarà fino all’ultimo di questo tipo, come avviene sempre nei più ardui negoziati internazionali.

Il timore è semmai che Khamenei alzi le sue pretese e metta con le spalle al muro un Biden che non può ignorare del tutto le preoccupazioni israeliane. Oppure che Biden voglia mettere sul tavolo i missili balistici e la politica regionale iraniana, il che sarebbe inaccettabile per Khamenei. Saranno loro due a dover misurare le mosse, cruciali per loro ma anche per tutta la regione mediorientale.

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