Gli scenari aperti dalla Conferenza per la Pace in Svizzera. Il ruolo della Cina e dell’Alleanza Atlantica
Xi Jinping ha deciso di non inviare nessuno, neanche un «osservatore», alla «Conferenza sulla pace in Ucraina», organizzata a Burgenstock da Viola Amherd, presidente della Confederazione elvetica, e da Volodymyr Zelensky.
In compenso da Pechino è arrivato l’invito, rivolto a Mosca e a Kiev, di trovarsi «a metà strada». Ma dove esattamente?
Il «piano di pace» cinese, le parole di Putin e Zelensky e i problemi
Il 24 febbraio 2023, nel primo anniversario dell’attacco russo, il leader cinese presentò un «piano di pace» in dodici punti. La proposta è ancora in piedi e, anzi, il 4 giugno scorso, il capo della diplomazia Wang Yi, dopo aver annunciato che il suo Paese non avrebbe partecipato alla Conferenza in svizzera, osservò come 26 Stati avessero condiviso l’impostazione cinese. Il Brasile è uno di questi.
>Che cosa prevede, allora, questo schema?
I punti essenziali sono quattro.
Primo: «rispetto dell’integrità e sovranità territoriale».
Secondo: «abbandonare la mentalità della guerra fredda», cioè limitare l’espansione della Nato e quindi impedire che comprenda anche l’Ucraina.
Terzo: «cessate il fuoco e inizio immediato dei negoziati», senza attendere il ritiro delle truppe occupanti.
Quarto: «annullare le sanzioni contro la Russia».
Il mese scorsoVladimir Putin ha dichiarato che questa sarebbe una buona base per iniziare a trattare. Domenica 16 giugno, parlando ai giornalisti, Zelensky ha detto di essere disposto a «discutere nel merito la posizione sino-brasiliana».
Il problema è che le due parti non interpretano nello stesso modo i passaggi chiave. «L’integrità territoriale» è uno dei principi cardine della Carta delle Nazioni Unite. Nel vertice svizzero 78 Paesi, europei, africani, latinoamericani, asiatici, hanno ribadito che non ci può essere alcuna trattativa se non si parte da qui. Ciò significa che i russi devono lasciare i territori occupati: il governo di Kiev deve recuperare piena sovranità sui confini. Sì, ma quali? Quelli fissati nel 1991, l’anno dell’indipendenza, o quelli acquisiti nel 2014, con la Crimea e parte del Donbass controllati da Mosca? Negli ultimi due anni tutti i tentativi diplomatici non sono riusciti a risolvere il dilemma.
La provocazione di Putin: come va interpretata?
Pochi giorni fa Putin ha lanciato con una provocazione, rivolgendosi in questi termini agli ucraini: datemi quattro regioni, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson; non entrate nella Nato e possiamo chiudere l’accordo.
La mossa è stata interpretata variamente dai diplomatici occidentali. L’idea prevalente è che senza un compromesso territoriale non ci sarà un’intesa. Gli ucraini, insomma, dovrebbero rinunciare a qualcosa. Di nuovo: a che cosa? Quasi certamente alla Crimea. Del resto, informalmente, gli americani hanno sempre considerato la penisola irrecuperabile. Ma non basterebbe: i russi, come minimo, puntano a mantenere il corridoio terrestre che dal Donbass arriva quasi a Odessa, passando da Mariupol.
Putin, spalleggiato da Xi Jinping, sostiene che «la territorialità» dell’Ucraina non può comprendere le regioni russofone. Zelensky ripete di no: l’integrità territoriale deve essere ripristinata. Questo è lo stallo, in una situazione confusa. Naturalmente il gruppo dirigente politico e militare ucraino tiene le carte coperte, mentre sembra che parte dell’opinione pubblica sia rassegnata alla rinuncia di alcune zone del Paese.
Molto dipende dalle garanzie per il futuro. E qui veniamo al secondo punto del «piano cinese»: la questione della Nato e delle alleanze militari.
Gli americani hanno promesso a Zelensky che il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Alleanza atlantica sia irreversibile. Ma, stando alle indiscrezioni, nel prossimo vertice della Nato, in programma a Washington dal 9 all’11 luglio, i Capi di Stato e di governo non formalizzeranno l’invito al governo di Kiev.
Anche qui il quadro è in movimento. Gli Stati Uniti hanno appena firmato un impegno di assistenza militare all’Ucraina, pluriennale. Il Segretario della Nato Jens Stoltenberg proporrà un fondo di finanziamento continuativo a favore di Kiev. Sono garanzie sufficienti per Zelensky? E, soprattutto, Putin sarebbe disposto ad accettarle?
Questo è il secondo ponte da attraversare per incontrarsi a metà strada. Ma per il momento i due leader, Putin e Zelensky, non si muovono dalle loro sponde.
Tuttavia, come osserva Carolina de Stefano, docente di storia e politica russa all’Università Luiss di Roma, «il fatto che prima o poi si possa intavolare un negoziato non è più un tabù. Anzi dopo questa settimana segnata dal G7, dalla Conferenza per la ricostruzione di Berlino e dalla Conferenza per la Pace a Lucerna, si può concludere che, nonostante le apparenze e le dichiarazioni ufficiali che arrivano da Mosca, da Kiev e dalle capitali occidentali, l’apertura di una trattativa sia adesso all’ordine del giorno».