Fonte: Corriere della Sera
di Maria Teresa Meli
Come nel 2013 potrebbero servire due tornate di consultazioni
Era già successo nel 2013, e la legge elettorale era diversa. Anche stavolta, al di là delle differenti situazioni, delle percentuali e dei proclami di gloria, non c’è un vincitore vero e proprio. Per questa ragione nessuno, nemmeno sul più alto Colle, esclude che le consultazioni del capo dello Stato possano consumarsi in due giri invece che in uno. Magari con l’inevitabile passaggio di un pre-incarico ai pentastellati. E nei palazzi della politica si sussurra a mo’ di formula magica questa frase: «Ci vuole un governo di tregua». Il che la dice lunga sullo stato delle cose ma non su come andrà a finire. Luigi Di Maio è intenzionato ad andare avanti: «Non possiamo mollare perché altrimenti perdiamo la spinta» ripete il candidato premier dei Cinque stelle. Come a dire, andare a nuove elezioni per noi sarebbe un rischio che è molto meglio non correre. E qui rientra in gioco il Pd. Potrebbe essere l’utile stampella su cui far nascere un governo a trazione grillina. Qualcuno ci spera ancora, al Nazareno, ma non solo lì. Quella porta, però, resta chiusa: «Anche volendo, Martina, Veltroni, Fassino e Franceschini non riuscirebbero a far nascere un esecutivo con Di Maio perché gli mancano i nostri voti», dicono i renziani. Che da quella posizione non si muovono: «Opposizione, questa è la sola strada, il che non significa dire no a prescindere perché non ci vogliamo condannare all’irrilevanza. Decideremo provvedimento per provvedimento, trattando con un governo che non sarà fortissimo».
Il Pd è fuori gioco, nonostante gli appelli di molti simpatizzanti dei Cinque stelle. Quindi si torna alla casella di partenza. Quella dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Il nuovo governo che verrà deve necessariamente prendere le mosse da là. Salvini lo ha già spiegato a Di Maio: «Io vengo con tutto il centrodestra». Solo in un caso il leader della Lega potrebbe strappare con l’alleato di sempre Silvio Berlusconi: se palazzo Chigi andasse a un leghista. Formula Giancarlo Giorgetti premier, posti chiave del governo ai grillini, appoggio esterno di Forza Italia e Meloni, alla quale Salvini e Di Maio hanno telefonato per chiederle di stare dalla loro parte: ma lei per il momento nicchia. E Di Maio ha già avvisato Salvini: «Per me è stato un problema far votare Casellati, di più non possiamo e non vogliamo fare».
Perciò anche la strada dell’incarico esplorativo appare impervia. Dovrebbe andare alla presidente del Senato, quella Casellati per cui si è aperto un dibattito più che acceso nella base grillina. Alla fine, allora, al secondo giro o anche al terzo, non sarà Di Maio e nemmeno un leghista, ma un «terzo attore», come danno per scontato nel centrodestra a guidare il nuovo governo? Pier Ferdinando Casini, che ha attraversato varie tempeste politiche nella prima come nella seconda Repubblica, pare esserne sicuro: «Governeranno Cinque Stelle e Lega, Berlusconi alla fine ci starà perché ci deve stare». Qualsiasi sia l’esito finale toccherà quindi al leader della Lega e al candidato premier dei Cinque stelle condurre le danze. Senza scivolare verso le elezioni, perché, anche se il terreno della nuova legislatura è impervio e le incognite sono molte, in realtà Salvini e Di Maio non vogliono andare di nuovo alle elezioni. Anzi. «Vedrete, saremo io e Luigi a dare un governo al Paese», continua a ripetere il leader della Lega ai suoi. E ci crede sul serio.