20 Settembre 2024

POLITICA

Fonte: Corriere della Sera

renzi

La tattica del premier che punta a toni soft per coinvolgere la minoranza nella riforma: «A questo punto tocca a loro, vediamo se vogliono sfasciare tutto»

ROMA «La legislatura passa per la riforma, questo deve essere chiaro a tutti»: con i collaboratori Matteo Renzi è netto. Con i senatori del Pd, però, il premier non alza i toni e non pronuncia ultimatum, perché non ce n’è bisogno: ogni parlamentare sa che la legislatura è appesa alla riforma. 

Dunque, niente asprezze, non è né il luogo, né il momento. Perciò Renzi invita tutti a «non esasperare» il confronto sul ddl Boschi. Il suo intento è quello di convincere, di dimostrarsi disponibile al dialogo e all’ascolto. «Il mio obiettivo – spiega – è quello di portare il Partito democratico unito a votare la riforma». 

È quello il traguardo e per il premier deve essere evidente a tutti che se così non sarà la colpa non è sua, ma della minoranza interna: «Io andrò avanti con la mediazione, però a un certo punto bisognerà decidere e chiudere. Adesso la palla è a loro, vediamo se vogliono sfasciare tutto o no. Io i numeri ce li ho comunque».
La riunione è interlocutoria (non poteva essere diversamente) e Renzi fa il punto della situazione con i suoi. «Stiamo cambiando il Paese, l’Italia sta ripartendo e questo sta accadendo grazie alle riforme ed è assurdo che ci sia chi vuole fermarle. Voglio vedere chi voterà no al ddl Boschi che cosa andrà poi a dire agli elettori, come lo spiegherà nei territori», osserva il premier, che non cambia posizione: «L’articolo 2 non è in trattativa». 

Già, ma Renzi è convinto che la posta in gioco in questo braccio di ferro con la minoranza interna del Pd non siano le «tecnicalità» e l’articolo 2: «Noi abbiamo detto di essere disposti al dialogo, ma non mi pare che loro per il momento ci sentano da quella parte». Il problema, ormai, è tutto politico. Proprio per questo, nella riunione di ieri sera, il premier ha cercato di svelare la pretestuosità dell’atteggiamento della pattuglia dei senatori dissidenti sottolineando come nelle tesi dell’Ulivo (cioè del soggetto politico a cui si richiama ultimamente Pier Luigi Bersani) era previsto il Senato delle Autonomie non elettivo. Come a dire che la riforma non è una sua invenzione e che definirla anti-democratica non ha senso alcuno.

Comunque, il presidente del Consiglio non intende risolvere il braccio di ferro interno al Partito democratico con dubbi escamotage come il ricorso alla fiducia, né tanto meno con mozioni d’ordine: «Non c’è mai stata disciplina di gruppo sulla riforma costituzionale e non ci sarà nemmeno questa volta, peraltro non l’abbiamo mai applicata», assicura il premier. 

Ma Renzi, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sa che i numeri a Palazzo Madama sono più che ballerini. I voti «sicuri», o quanto meno quelli considerati tali, non arrivano a 160. Potrebbero bastare, ma anche no. E questo è un problema: «Io non azzardo il rischio di un incidente parlamentare», sottolinea il premier, il quale è comunque convinto che alla fine, in un modo o nell’altro i voti ci saranno, anche se la minoranza interna dovesse dimostrarsi più compatta e combattiva di quanto possa sembrare. 

Però è chiaro che, puntando a dimostrare che il Pd è in grado di arrivare unito all’appuntamento con la riforma, Renzi farà di tutto per riuscire in questo intento. A patto di non scendere a «compromessi al ribasso». «L’ipotesi del listino è da verificare, però non ci può essere un “no” a priori», spiega il premier ai suoi. Quindi si andrà avanti per «cercare una soluzione che veda il partito unito». «Abbiamo ancora del tempo davanti a noi», è la constatazione di Renzi. Che è anche l’auspicio di un accordo che, al momento, non sembra proprio profilarsi. 

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