22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

Reuters - La Stampa

di Gianni Riotta

Mentre i leader rivali disegnano il nuovo Medio Oriente il presidente uscente spera di dividere i repubblicani dalla Casa Bianca

Il Vecchio Medio Oriente e il Nuovo Medio Oriente si sono incontrati ieri, come nelle vignette dei calendari antichi, con l’Anno Vecchio, debole e ferito, a consegnare il mondo all’Anno Nuovo, fresco virgulto. Il segretario di Stato americano John Kerry, che il 20 gennaio va in pensione, ha pronunciato un solenne requiem per la formula «Due popoli due Stati» che in infiniti dibattiti Onu, negoziati tra due generazioni di leader israeliani e palestinesi, tesi di laurea impolverate, ha cercato, invano, di riportare pace e coesistenza.
Il presidente Obama, che aveva irriso Kerry con una battutaccia – «Che mi porti? Altre soluzioni?» – ha lasciato al generoso ministro l’onore delle armi. Kerry riconosce che il pugno duro del premier israeliano Netanyahu sulle colonie di Israele affossa il negoziato con i palestinesi, stretti tra Hamas e l’ormai fragile Abu Mazen dell’Olp. E lancia un monito da editorialista deluso, non da diplomatico di ferro: senza uno Stato palestinese Israele perde l’identità ebraica o la democrazia. In una West Bank ridotta secondo Kerry a «groviera» dalle colonie, dovrà fare il poliziotto, tra terroristi e un «movimento per i diritti civili e umani palestinesi», dopo il voto Onu facilitato da Obama come ritorsione contro i troppi tackle del premier israeliano.
Mentre Kerry alzava bandiera bianca, Russia, Turchia e Iran, irrompendo nel vuoto strategico lasciato dal presidente Obama in Medio Oriente, hanno proposto un nuovo patto che, giusto 100 anni dopo la divisione anglo-francese di Sykes-Picot dell’ex impero ottomano, ridisegna la Siria in tre aree. Il dittatore Assad, protetto da Putin e dall’Iran, resterebbe al potere almeno fino alle prossime «elezioni», una farsa in cui al suo posto andrebbe un altro raiss alawita, fedele al Cremlino e vicino, per ancestrale odio contro i sunniti, agli sciiti di Teheran. L’Iran avrebbe un corridoio che, via Siria, lo colleghi ai clienti di Hezbollah in Libano, traffici, armi, propaganda, influenza. La Turchia dell’uomo forte Recep Tayyip Erdogan mobiliterebbe quel che resta dei ribelli anti Assad, ridotti in numero e prestigio dopo la caduta di Aleppo e l’abbandono di Obama, in una sua enclave, da cui combattere – un po’ – l’Isis, ma soprattutto impedire che i miliziani curdi avanzino in Siria, provando a lanciare finalmente la loro «Sfida nel Kurdistan», sognata da un secolo come ricorda la novella di Jean-Jacques Langendorf (Adelphi).
Seguite le sorti della città di al-Bab, 40 chilometri da Aleppo, presto contesa tra i combattenti dell’Isis e i ribelli pagati da Erdogan. I turchi hanno mediato tra Putin e i ribelli, favorendo la ritirata da Aleppo e allestendo l’assedio ad al-Bab, che non vogliono in mano ai curdi. Ma gli iraniani, che temono una Casa Bianca di Trump ostile all’accordo sul nucleare sponsorizzato da Obama, non hanno fretta. Ali Akbar Velayati, consigliere del leader supremo ayatollah Khamenei, dice: dopo Aleppo in Siria vanno rifatti tutti i conti.
A proposito, Erdogan vorrebbe far pagare il conto dei nuovi campi profughi siriani agli europei, in cambio di una riduzione dell’ondata di rifugiati, alla vigilia di elezioni in Francia e Germania, forse Italia. Arbitro severo è Putin, forte di basi militari nel Mediterraneo. L’America langue nel vuoto pneumatico di Obama che i focosi tweet di Donald Trump non riempiono. La Clinton minacciava una «no fly zone» in Siria, Putin aveva già schierato rampe di missili, ma Trump ha altro per la testa, i ribelli sono sconfitti, Mosca, Ankara e Teheran fanno da soli, con l’Occidente che si lecca le ferite, impotente: addio esportazione della democrazia, Primavere arabe.
I fondamentalisti islamici dicono la loro con il terrore, da Berlino all’ambasciatore russo ucciso in Turchia, ma Putin ha fatto terra bruciata in Cecenia come Assad padre e figlio in Siria, Iran e Turchia non si curano certo delle critiche umanitarie per due foto come gli Usa ad Abu Ghraib. La tripartizione della Siria non sarà facile, Assad terrà duro, i fondamentalisti colpiranno, la guerra civile sunniti-sciiti continua, sauditi e Paesi del Golfo non sono d’accordo. E Obama? Si limita ad annunciare nuove sanzioni contro la Russia, per l’ingerenza di pirateria informatica sulle elezioni Usa, minacciando ritorsioni, senza rivelare quali e quante. Crowdstrike, un gruppo di informatici Usa, conferma i legami tra i leaks anti Clinton e il Gru, lo spionaggio militare russo, Assange di Wikileaks in un’intervista a Repubblica si dichiara interessato alla «novità» Trump. Obama sa che in Senato i repubblicani non sono allineati con il neo presidente, amico del Cremlino, e spera di dividere partito e Casa Bianca. Che mentre russi, iraniani e turchi si giocano ai dadi il Medio Oriente, il premio Nobel Obama sia ridotto a questi giochini dice quanto tumultuoso sarà Capodanno 2017.

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