Fonte: linkiesta
di Flavia Perina
Con le scuole gli asili e i nidi chiusi, le donne con figli saranno per mesi il solo “servizio” disponibile per ammortizzare le conseguenze dell’emergenza. Il lockdown dell’assistenza ai bambini (ma anche ai disabili e agli anziani) durerà ancora a lungo
Le fabbriche sono importanti. E anche l’agricoltura. I braccianti. Le partite Iva, turismo, l’impresa media e piccola, il commercio, le librerie, la moda. Tutto a grave rischio, tutto da riorganizzare attentamente nella Fase 2. C’è però un “settore”, chiamiamolo così, che attraversa tutte queste categorie trasversalmente, è presente ovunque e ovunque ha faticato a conquistare posizioni e salario: è il settore delle donne che lavorano, circa nove milioni. Una parte consistente di questo esercito sta chiedendosi se il 4 maggio – o il 14, o quando sarà – potrà tornare a timbrare il cartellino, e come riuscirà a farlo. Le scuole sono chiuse, gli asili e i nidi pure, il lockdown dell’assistenza ai bambini (ma anche ai disabili e agli anziani) durerà ancora a lungo: le madri sono e saranno per mesi il solo “servizio” disponibile per ammortizzare le conseguenze dell’emergenza. Per migliaia di loro le dimissioni diventeranno una scelta obbligatoria, così come il ritorno al ruolo esclusivo della casalinga.
Le nostre donne di governo dovrebbero prendere di petto il problema in tutti i tavoli sul dopo-crisi, dando un senso alla battaglia sulle quote rosa che in tante hanno combattuto per anni. Se c’è un momento per dire “occupiamoci delle donne”, “servono misure specifiche per le lavoratrici”, è questo. In gioco non ci sono diritti minoritari e marginali ma il cardine dell’emancipazione femminile, il diritto al lavoro e all’indipendenza economica.
Che gli uomini dell’esecutivo non se ne occupino, così come gli uomini dell’impresa, delle professioni, della sanità, è piuttosto ovvio: non vedono il problema, non ne sono toccati, non lo vivono nel loro quotidiano. E c’è pure il sospetto che “donne a casa e uomini al lavoro” sembri a molti di loro una soluzione quasi perfetta per le difficoltà presenti e future del welfare.
Peraltro l’emergenza Covid è un palcoscenico tutto al maschile. Da mesi si vedono praticamente solo uomini a darci disposizioni e a spiegarci la vita in tv. Uomini i governatori, i dirigenti sanitari, gli assessori, i capi e sottocapi di protezione civile che tengono banco nelle conferenze stampa. Uomini, quasi tutti, quelli dei comitati di consulenza. Nella rappresentazione mediatica della crisi, alle signore è stato riservato il ruolo di interpreti nella lingua dei segni: mai se ne è vista una a al fatidico “tavolo delle autorità”. Anche per questo è il momento di svegliarsi e rivendicare l’enormità del problema che si apre per le lavoratrici.
Pure se le lezioni online funzionassero a pieno regime, c’è una enorme platea (un milione e mezzo) di bambini tra i 6 e i 12 anni che non può essere lasciato a casa da solo davanti a un computer, senza contare la fascia 3-6 anni, quella che normalmente frequenta la scuola dell’infanzia pubblica e privata. I bonus di 600 euro per le tate andavano bene nella primissima fase dell’emergenza: davanti a un fermo di lunga scadenza, fino a settembre, con probabili stop-and-go se il virus tornerà a mordere, diventeranno insostenibili.
Ridurli è ovviamente possibile, ma nel caso serviranno a ben poco, soprattutto alla larga fascia di donne con impieghi “poveri” e discontinui. Il disastro sanitario dei centri per anziani minaccia di produrre analoghe conseguenze sulle lavoratrici della classe d’età tra i 50 e i 60, già in questi giorni davanti a un bivio: lasciare i parenti vecchi in una situazione di palese rischio o riportarli a casa?
Serve qualcosa di più complesso e “largo” per sottrarre le italiane a un destino da badanti forzate. Si usi l’estate per immaginare e costruire un modello di classi frequentabile in sicurezza e senza doppi turni. Si programmino corsi di educazione sanitaria ed esercitazioni per convincere i ragazzini alle regole del distanziamento. Si produca una “bollinatura” per le Rsa che ne indichi il livello di sicurezza.
Al limite, si immagini una “aspettativa Covid” per le madri e per chi si fa carico dei parenti non autosufficienti, consentendo loro di sospendere l’attività per un tempo ragionevole senza perdere il lavoro. Si dirottino risorse in questa direzione. La posta in gioco non è un dettaglio secondario nell’enormità della tempesta: se il lavoro torna a essere “cosa da uomini” l’Italia rischia di compiere un passo indietro davvero irrimediabile, rendendo milioni di cittadine più povere e più infelici.