22 Novembre 2024

Le associazioni ambientaliste chiedono controlli e vigilanza contro le possibili infiltrazioni mafiose. La solidarietà di don Ciotti

«C’è odore… C’è odore… Arrivano, comprano, investono… C’è odore… C’è odore…». Arriccia il naso, don Luigi Ciotti, come avvertisse nelle sue narici quella che papa Francesco chiama «la spuzza della corruzione». Certo, non lì nel Museo dell’occhiale di Pieve di Cadore, il borgo bellunese dove nacque e da dove i genitori lo portarono bimbo a Torino e men che meno in mezzo a tutti gli ambientalisti, da Legambiente al Wwf, da Italia nostra al Mountain Wilderness, dal Cai alla Commissione internazionale per la protezione delle Alpi, venuti a denunciare i rischi dell’Olimpiade invernale 2026. Ma il fondatore di Libera è preoccupatissimo: «Le mafie sono forti. Si camuffano. Stanno investendo nei fondi, nell’immobiliare, acquistano in contanti, ristoranti, alberghi, pizzerie, sono entrati a gamba tesa nell’agroalimentare…».
Anche lassù, sui monti? «Il procuratore antimafia Giovanni Melillo l’ha detto con parole chiare: “È evidente che la messa in campo di enormi risorse finanziarie pubbliche e l’urgenza della attuazione dei progetti del Pnrr (…) a partire dal Ponte sullo Stretto e dall’Olimpiade di Milano-Cortina, portano con sé anche l’illusione che si possa fare a meno di razionalizzare e intensificare controlli che, malgrado l’impegno delle prefetture e delle forze di polizia, hanno bisogno di ben maggiori dotazioni tecnologiche e di strumenti che oggi sono largamente inadeguati o che semplicemente restano sulla carta, come nel caso del monitoraggio dei flussi finanziari delle imprese o dei doveri di segnalazione di ogni anomalia”. Rileggo: la magistratura ha mezzi “largamente inadeguati o che restano sulla carta”. E ‘sta massa di denaro è un boccone fin troppo ghiotto…».
Quanto ghiotto? Gli ambientalisti uniti intorno al progetto Open Olympics 2026 dicono d’aver fatto i conti: «Oltre 5 miliardi e 720 milioni». Più precisamente «un miliardo e 600 milioni per la realizzazione dei Giochi e gli altri 4 miliardi e 120 milioni per le opere connesse». Quante sono? Boh… «Ne abbiamo contate 79, ma non esiste un elenco unico istituzionale che ci informi. Così come è difficile comprendere chi sono i responsabili di un’opera, spesso anche divisa in lotti, e come i commissariamenti condizionino le regole del gioco».
Esempio: dopo avere sventolato l’Olimpiade nel 2018 come «economicamente light con strutture temporanee a basso impatto ambientale» e un villaggio olimpico «da smantellare al termine dei Giochi, al massimo con qualche modulo che potrebbe essere usato per la Protezione Civile» Luca Zaia ha poi parlato di «lasciarlo in eredità per studenti e lavoratori stagionali». Per non dire della progressiva e inarrestabile levitazione delle spese per la famigerata pista per il Bob (47 praticanti in totale, sottolineano i critici) che sulle prime pareva dovesse risolversi in un restauro per quanto ipertecnologico della vecchia pista del mitico Eugenio Monti del ‘56 (e già allora Indro Montanelli aveva colto il tema della successiva e costosa manutenzione degli impianti) e poi si è via via gonfiata fino ad arrivare (tanto più sotto l’urgenza spasmodica imposta alla Pizzarotti di finire a tutti i costi lavorando giorno e notte) a 128 milioni. Più ancora dei 110 spesi nel 2006 per la pista di Cesana poi abbandonata al degrado e agli sterpi. Auguri.
Fatto sta che, giustamente scottati dai precedenti delle date-catenaccio che troppo spesso hanno portato a rincari astronomici e al coinvolgimento nei subappalti di troppe imprese chiacchierate se non smaccatamente mafiose, Open Olympics mette le mani avanti: «Basta coi ping pong di portali web che portano ciascuno dati diversi e stendono veli oscuri. Chiediamo la trasparenza totale. Con un Portale unico che ci metta in grado di comprendere, opera per opera, come saranno spesi i soldi dei cittadini». Saranno esauditi? Bella domanda… Tanto più dopo le notizie di questi giorni su certe concessioni trentennali decise su yacht privati a disposizione degli amici. È vero che non ci sono yacht nel lago di Misurina, però, ammonisce don Luigi Ciotti, «anche gli ultimi eventi ricordano che la corruzione è una vera patologia nazionale. Eppure dinanzi all’aggravarsi delle criticità si allentano i freni inibitori…».

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