22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Andrea Frollà

Il superamento dei confini tradizionali dell’innovazione in un’ottica allargata di collaborazione, soprattutto con le startup, sta progressivamente conquistando le agende di ceo e top manager. L’ecosistema italiano si è mosso in ritardo rispetto ad altri grandi Paesi, ma i segnali lasciano presagire un possibile e definitivo salto di qualità

L’open innovation, e più in generale la collaborazione tra startup e imprese, hanno ormai aperto una breccia nell’ecosistema italiano dell’innovazione e, seppur in ritardo rispetto ad altri grandi ecosistemi stranieri, stanno conquistando un protagonismo importante. Dopo anni di timori, diffidenze e tentennamenti, la cosiddetta innovazione “aperta”, ossia l’innovazione che esce dai classici confini aziendali della ricerca e dello sviluppo per abbracciare startup, Pmi, università, centri di ricerca, societàtecnologiche e altre realtà, ha infatti attirato le attenzioni di tanti founder, ceo e top manager, tant’è che il marketing e la comunicazione delle iniziative sta lasciando il campo all’esecuzione degli stessi progetti, anche se ancora troppo lentamente.
A confermare questa tendenza non è solo la vulgata che negli ultimi tempi sta accompagnando l’innovazione, ma anche alcuni dati concreti. Emblematica in tal senso è l’ultima edizione dell’Open Innovation Outlook Italy, il rapporto annuale sull’open innovation elaborato da Smau e Mind theBridge che lascia presagire un potenziale punto di non ritorno positivo, un definitivo abbraccio strategico, soprattutto tra le aziende (specialmente le grandi) e le startup. La strada appare comunque lunga perché bisogna sottolineare innanzitutto che nella maggior parte dei casi siamo in presenza di primi tentativi, trainati spesso da finalità di marketing o comunicazione piuttosto che di veri e propri piani consolidati con risorse e budget dedicati. Di conseguenza, i risultati in termini di collaborazione tra startup e imprese risultano al momento limitati.
Eppure, qualche segnale positivo di un’inversione di tendenza c’è perché, spiega Alberto Onetti, chairman di Mind the Bridge, “un crescente numero di aziende italiane sta finalmente convertendo i principi dell’open innovation appresi in questi ultimi anni in reali processi di esecuzione”. Se prendiamo in esame le prime 25 aziende italiane attive nel mondo dell’open innovation, mappate da Mind the Bridge prendendo in esame sia i fattori interni che abilitano l’innovazione (strategia, organizzazione, processi e cultura) sia le azioni concrete implementate (accelerazione di startup, procurement, co-sviluppo, investimenti, acquisizioni e risultati raggiunti), attualmente il 44% supera il valore medio italiano di 2,6 punti, comunque lontano dai 4,1 punti delle aziende leader a livello internazionali.
Sotto questo punto di vista, uno dei limiti principali dell’ecosistema italiano riguarda la velocità del passaggio dalle parole ai fatti, dalla progettazione all’esecuzione. Non a caso, le poche realtà che si sono mosse in anticipo oggi si collocano nella scia dei big. La buona notizia è che rispetto al 2019 c’è stata una crescita generalizzata delle 25 aziende citate prima verso l’alto, a testimonianza di una maggiore consapevolezza a livello strategico e organizzativo, e verso destra (ossia più azioni implementate). E fortunatamente non è finita qua: «Ci aspettiamo che questo trend continui a crescere e che possa coinvolgere un numero sempre maggiore di aziende – commenta Onetti – Non solo grandi, ma anche di media dimensione».
A quest’ultimo proposito, c’è da registrare che l’open innovation sta lentamente permeando anche il mondo delle piccole e medie imprese, specialmente quelle di maggiori dimensioni e più strutturate. La spina dorsale dell’economia italiana si sta dunque avvicinando a questo fronte mentre, escludendo alcune eccezioni molto limitate, le aziende più piccole rimangono ancora fuori gioco. Resta infine da notare il cambio di equilibrio settoriale, e in particolare il sorpasso del settore che ricomprende energia, oil e gas: cinque delle prime 10 aziende classificate sono infatti in questo campo, a testimonianza di approcci sempre più completi e maturi in questi ambiti. Il settore bancario e il settore assicurativo si collocano subito dopo, con automotive, trasporti, alimentari e distribuzione che stanno iniziando ora a compiere i primi passi significativi.

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