Elly Schlein 1

I tormenti del centro-sinistra: anche concedendo che tra due anni la stella di Giorgia Meloni si sarà offuscata, il problema di presentarsi come un’alternativa credibile resterebbe

C’è una sorta di crisi sistemica nel panorama politico italiano. A fronte di una maggioranza sostanzialmente compatta, seppure in competizione, ci sono opposizioni divise, che faticano a trovare idee comuni, che stentano ad uscire dal cono d’ombra del governo. Il risultato è una dialettica zoppa, che non fa bene a nessuno, nemmeno al centrodestra, che pure se ne avvantaggia elettoralmente.
Il problema, certo, è soprattutto del Pd, che sogna di guidare un’alternativa credibile quando le elezioni politiche arriveranno. Ne è convinta Elly Schlein, che pensa che l’avversario sia battibile, a condizione di non inseguirlo e di non imitarlo. Ma l’alleanza è ancora lontana, in zona centrosinistra, e i partiti si compattano al massimo in occasione del voto amministrativo, e nemmeno sempre e quasi mai tutti. Si confrontano con il desiderio, forse impossibile, del ritorno dell’Ulivo, oppure con il pragmatismo di Dario Franceschini, che propone di andare in ordine sparso, per unirsi semmai dopo il voto. O ancora, e pare essere il progetto della segretaria, considerando questa ricerca come un chiacchiericcio, perché c’è solo da contrastare Giorgia Meloni, e poi, a un passo dal voto, ci penserà la legge elettorale a costringere tutti a stare insieme.
In mezzo ci sono i Cinque Stelle di Giuseppe Conte, alla ricerca di un’identità che li distingua. Matteo Renzi e Carlo Calenda, che difendono il loro spazio. L’area cattolica e quella riformista, che lamentano l’emarginazione e la mancanza di dibattito nella costellazione Dem. E la sinistra di Avs, che a sorpresa si trova ad avere il sei per cento e fa per sé.
Bisogna riconoscere che Elly Schlein qualche successo lo ha ottenuto. Un buon risultato alle Europee, qualche regione vinta, lo spettro del declino inesorabile dopo le politiche scongiurato. Giuseppe Conte, che pensava al sorpasso, tenuto a distanza nei sondaggi. Un pezzo di partito non condivide la sua linea, ma non è in condizione di insidiarla. La scommessa più grande, però, quella di portare alle urne la massa dei delusi, sembra per lo meno rimandata. E l’iniziativa politica ha magari il pregio di una maggiore vicinanza ai problemi delle persone, ma sconta una strategia incompiuta. La riassume lei stessa: «Certo, non battiamo la destra rincorrendola. Vinciamo quando li trasciniamo sul terreno dove stanno più scomodi: la grande questione sociale, i salari bassi, la precarietà alta, le lunghe liste d’attesa nella sanità, la casa».
Temi importanti, ma anche promesse difficili da mantenere, perché comporterebbero investimenti enormi nel Welfare, che confliggono con un Paese, il nostro, che ha uno dei debiti pubblici più elevati d’Europa. C’è rischio che somiglino più a parole d’ordine, invece che a un programma di governo.
La congiuntura politica internazionale, per quanto piena di differenze, contribuisce all’isolamento del centrosinistra. Il centrodestra, con le sue varie anime, è vincente in Italia. Le posizioni aggressive di Donald Trump ed Elon Musk, rischiano di schiacciare il Pd nel ritorno dell’antiamericanismo. Poi, nel continente, c’è la destra più estrema: in Francia Marine Le Pen è in agguato e in Germania è possibile un’affermazione pesante dei filo nazisti di Afd alle elezioni di fine mese. I 27 d’Europa traballano tra il restare uniti e il trattare uno per uno con Trump. E gli stessi Democratici Usa non sanno come ripartire, reduci come sono da una sconfitta epocale alle presidenziali, convinti com’erano dai sondaggi che la guida del Paese fosse almeno contendibile.
Anche concedendo che tra due anni la stella di Giorgia Meloni si sarà offuscata, il problema di presentarsi come un’alternativa credibile resterebbe. Romano Prodi è l’unico ad aver vinto le elezioni due volte. E tutte e due le volte i suoi governi hanno avuto vita breve, colpiti dagli appetiti e dalle divisioni interne. Matteo Renzi, con un’Opa da molti considerata corsara, ha conquistato prima il Pd, poi Palazzo Chigi. La strategia allora, se non di imitazione della destra, faceva di certo fibrillare la tradizione della sinistra. Anche lì l’arco fu breve, mentre il tentativo precedente di Per Luigi Bersani si era infranto sul successo di Beppe Grillo. Né si vedono all’orizzonte strategie globali, come quelle tracciate da Bill Clinton e Tony Blair, ai tempi della Terza via tra neoliberismo e socialdemocrazia.
Insomma, l’impressione è che la sinistra, più che il centrosinistra che al momento non riesce ancora a nascere, non uscirà da una logica minoritaria, per quanto robusta, se non si metterà in gioco e non si aprirà in termini di idee, programmi e alleanze. Continuare a stare, seppur grintosamente, in difesa, rischia di riproporre tattiche novecentesche, che alla lunga mostrano la corda.