Rimane l’incognita di una strategia che permetterà al Pd magari di ridimensionare nettamente un grillismo in crisi
C’è una doppia disgregazione in atto nelle opposizioni. Una, sempre più evidente e che sembra subire un’accelerazione, riguarda l’alleanza tra Carlo Calenda e Matteo Renzi. Il loro progetto di Terzo polo si sta sfasciando a livello politico e parlamentare, minato dai protagonismi e dai magri risultati elettorali. Ma, seppure meno vistosa, comincia a intravedersi anche una diaspora strisciante di settori moderati nel nuovo Pd di Elly Schlein.
Al momento si tratta di segnali di malessere, seppure sottolineati da alcune defezioni. Quello dei contorni e dell’agenda del partito, tuttavia, sta diventando «il» tema dell’avversario principale della premier Giorgia Meloni e della sua destra. Il modo in cui la segretaria ha spostato il Pd su un versante radicale, con forti connotazioni sociali e movimentiste, toglie ossigeno al M5S di Giuseppe Conte: al punto da far vacillare la sua leadership dopo un voto locale nel quale i grillini non brillano mai.
Ma questo implicherà un’ostilità ancora più forte del M5S nei confronti della sinistra; e uno smarcamento accentuato in politica estera, tanto da portare i Cinque Stelle a un’equidistanza di fatto tra Nato e Ue, e la Russia. E renderà più incalzante la polemica grillina contro Elly Schlein, accusata già adesso di subalternità all’Alleanza Atlantica e agli Usa per il sì agli aiuti militari a favore dell’Ucraina. Per questo ha gioco facile chi, nei paraggi di Renzi e Calenda, sostiene che un’alleanza tra Pd e M5S è impossibile.
Il problema è che appare poco verosimile anche un approdo degli scontenti del nuovo corso nel recinto rissoso di Calenda e Renzi. Uscire da un partito che sta cambiando rapidamente pelle e identità ma mantiene al momento una sua consistenza, per approdare in un feudo dominato da due alleati-coltelli, non appare una prospettiva allettante. E pazienza se la lotta interna non ha ancora permesso di ritrovare un equilibrio tra le correnti del Pd. Il risultato è che non si vede una ricomposizione delle opposizioni. Piuttosto, si assiste alla loro disarticolazione progressiva. La confusione è così palpabile da rendere difficile anche una previsione su chi e come si presenterà alle Europee del 2024, su questo fronte. In teoria, il Pd non ha avversari come prima forza di minoranza. E il sistema proporzionale acuirà, in Elly Schlein come negli altri leader, la tendenza a giocare per sé. Ma rimane l’incognita di una strategia che permetterà al Pd magari di ridimensionare nettamente un grillismo in crisi nonostante l’estremismo pacifista. Non, però, di diventare un’alternativa credibile e dunque potenzialmente vincente sul piano politico.