22 Novembre 2024

Dopo il riconoscimento del valore educativo dell’attività sportiva, è indispensabile diffonderla nelle scuole e realizzare il maggior numero possibile di impianti

Con la recente definitiva approvazione della riforma, la tutela dello sport è entrata in Costituzione. In particolare vi è stata una modifica, o per meglio dire un’aggiunta, all’articolo 33 attraverso la quale è stato esplicitato che «la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme».
In effetti la Costituzione italiana, diversamente da altri Paesi, prima della riforma del Titolo V, intervenuta nell’ormai lontano 2001, non conteneva alcun riferimento esplicito allo sport che infatti veniva in larga misura considerato una forma di spettacolo oppure, secondo una concezione culturale ottocentesca, limitato alla caccia e all’ippica. A ben vedere un’aporia poiché già a partire dai primi anni post unitari si riteneva che l’attività agonistica, allora declinata come ginnastica, rappresentasse valori di modernità e di benessere tanto che proprio in quegli anni (Torino 1872) venne istituita la prima scuola per futuri insegnanti delle materie sportive.
Tuttavia, anche se la voce sport è entrata nella nostra Costituzione con la Riforma del 2001 (articolo 117) ciò è avvenuto unicamente per regolamentare l’ordinamento sportivo al fine di stabilire, con il superamento del monopolio legislativo dello Stato, il riparto delle competenze tra lo stesso e le Regioni.
Ecco quindi che l’attuale riforma è ben più rilevante della precedente poiché effettivamente sugella il valore educativo, sociale e promozionale dell’attività sportiva nella sua più ampia accezione.
Non di meno bisogna scongiurare che la riforma costituzionale, che diffusamente anche se ingiustificatamente viene ritenuta minimale, ovvero non necessaria, possa essere soltanto simbolica vale a dire priva di effetti concreti se non addirittura controproducente, in quanto il principio introdotto in Costituzione potrebbe determinare un aumento di contenzioso in punto alla corretta interpretazione e applicazione costituzionale delle leggi nel settore sportivo.
Eppure è indubbio che l’intervenuta modifica costituzionale consente di allineare il nostro Paese ad altri che già da tempo hanno dato piena attuazione alla Carta Europea dello Sport, attraverso la quale si è stabilito che lo stesso rappresenti qualsiasi forma di attività fisica utile a conseguire «il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizione di tutti i livelli» (articolo 12).
Ma per raggiungere concretamente detti risultati è imprescindibile promuovere la «cultura dello sport» sul presupposto che uno Stato moderno è tenuto ad implementarla a partire dalle scuole di ogni tipo, ordine e grado ma anche a realizzare il maggior numero possibile di impianti sportivi.
La condivisibile scelta di conferire allo sport la dignità di rango costituzionale, implica che allo stesso debba essere attribuita analoga rilevanza di tutte le altre attività garantite costituzionalmente, come quella lavorativa.
Non è dato di comprendere le ragioni per le quali il Costituente abbia deciso di non inserire la materia dello sport nella Carta Costituzionale. Ma ove mai ciò fosse avvenuto per evitare che l’attività fisica venisse strumentalizzata per finalità politiche o militari, come purtroppo è accaduto in passato, è tempo di comprendere che si tratta di un timore palesemente anacronistico.
Se effettivamente si intende tutelare lo sport, sia a livello individuale che associativo, come diritto costituzionale, è ineludibile equipararlo a quello inviolabile della salute e conseguentemente considerare accanto alla intervenuta riforma, le altre disposizioni costituzionali che sia pure indirettamente perseguono analoga finalità.

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