Fonte: Corriere della Sera
di Federico Fubiin
La forbice che si apre nella società ci obbliga a chiederci a cosa aspiriamo, come collettività Joe Biden ha chiarito cosa vuole lui per gli Stati Uniti
La pandemia ha distrutto un milione di posti in Italia, sei volte tanti in Europa e dieci milioni negli Stati Uniti, ma non tutti stanno soffrendo allo stesso modo. Certi settori si sono adattati così bene che anche dopo faranno sicuramente tesoro di ciò che hanno imparato questi mesi. Le grandi case di moda per esempio tengono chiusi i loro negozi nei centri urbani e fuori di lì, tutto intorno, è una desolazione; ma dentro gli addetti ci sono tutti, sono ben vestiti e fanno orario pieno: mostrano borse e scarpe ai clienti in videochiamata da cellulare e poi fanno spedire a casa la merce che quelli ordinano. Alcuni grandi gruppi del lusso veleggiano già del 20% sopra i livelli di vendite di prima della pandemia (un anno d’oro dei mercati finanziari ha aumentato il potere d’acquisto dei loro clienti) e intanto hanno sviluppato una modalità ibrida — metà digitale, metà personale — per aumentare i ricavi da ogni commesso e da ogni metro quadro di negozio. Gli economisti li chiamano aumenti di produttività. Dal punto di vista di un funzionario di Shanghai o di un petroliere del Golfo, è la scoperta di un nuovo potere personale: comprare una cravatta in via della Spiga a Milano restando sul sofà di casa propria. Dopo Covid non ci rinunceranno.
Anche in altri settori la pandemia segna un’accelerazione dei processi. Nei primi tre mesi di quest’anno le fusioni fra imprese nel mondo hanno mosso 1.300 miliardi di dollari — record da quarant’anni — anche perché la pandemia ha insegnato ai manager a lavorare in modo diverso. «Con le videoconferenze puoi fare tre o quattro riunioni al giorno senza dover viaggiare — ha detto al Financial Timesun esperto delle fusioni di Bank of America — e chi prende le decisioni finali può partecipare».
Con il lavoro da casa, tante grandi aziende hanno sviluppato norme che le rendono più produttive: le riunioni su Zoom diventano coreografie dai tempi serrati e scanditi, ogni minuto usato al meglio. La pandemia ha moltiplicato il potere della tecnologia e di chi sa usarla. Ha reso il capitalismo più intraprendente di prima. Non lo ha depresso.
Questi esempi e altri hanno tuttavia un punto in comune: riguardano la parte alta dell’economia. Non gli ultimi o i penultimi. Al massimo riguardano alcuni fra coloro che sono nel mezzo, gli addetti dei laboratori di pelle in Toscana o in Veneto che forniscono le case di moda. Ma la stessa forma della recessione dà un’idea del tipo di ripresa che stiamo per avere. Gian Maria Milesi-Ferretti di Brookings Institutions di Washington nota che negli Stati Uniti l’occupazione nel 2020 è crollata tre volte più dell’attività economica, segno che i posti bruciati da Covid sono quelli meno pagati. Anche in Italia è andata così: si sono salvati gli istruiti e i protetti, non gli altri. E per questi ultimi le condizioni di rientro nel mondo del lavoro potrebbero essere ancora più precarie di prima: da ex cameriere di un ristorante che non riaprirà a rider, per esempio.
Questa forbice che si apre nella società obbliga noi italiani e europei a chiederci qual è la nostra ambizione. A cosa aspiriamo, come collettività? Joe Biden ha chiarito cosa vuole lui per gli Stati Uniti: non riportare il prima possibile l’economia ai livelli di prima della pandemia, ma ai livelli che l’America avrebbe avuto senza la pandemia. Il suo piano di stimolo da 1.900 miliardi di dollari (come se l’Italia ne varasse uno da 150 miliardi di euro) e un secondo in vista fino 3.000 miliardi in infrastrutture hanno precisamente questo obiettivo. La Casa Bianca lo finanzierà prendendosi qualche rischio, ma usando fino in fondo il potere del dollaro, una moneta internazionale che tutti vogliono avere in mano per commerciare e metterla nelle proprie riserve. La Casa Bianca farà debito, la Federal Reserve creerà dollari per finanziarlo e Biden centrerà il suo obiettivo. A livello politico, è stemperare nella società la rabbia degli ultimi che ha alimentato il trumpismo. Anche per questo l’economia a fine anno sarà probabilmente dove sarebbe stata senza Covid, per poi viaggiare anche più in alto rispetto al sentiero che sembrava tracciato prima. Si stima che l’America quest’anno dovrebbe creare fino a un milione di posti al mese, specie per coloro che ne hanno più bisogno.
Noi europei abbiamo l’altra grande moneta di riserva internazionale, non la stessa ambizione. Finora non l’abbiamo avuta. Abbiamo sempre cercato di rimetterci in piedi dopo una crisi, ma non ci siamo mai dati come obiettivo quello di cancellarne le cicatrici nella società. L’anno prossimo il livello di reddito della zona euro sarà del 17,6% inferiore a quello che sarebbe stato se l’area avesse mantenuto la crescita media avuta dall’inizio del secolo fino al 2008 (nel caso dell’Italia del 16,7%, solo perché crescevano così poco anche prima). Significa che ogni lavoratore guadagna in media circa diecimila euro l’anno meno, rispetto al sentiero di crescita tenuto fino a poco più di dieci anni fa. Nel giro di qualche anno, sono differenze che cambiano le prospettive di una vita.
E si vede, purtroppo. Se si tiene conto della cassa integrazione e anche solo di un decimo dell’enorme esercito di «inattivi», in Italia la disoccupazione reale viaggia attorno al 20%. Nel resto d’Europa — anche l’Europa migliore — è inferiore ma non di moltissimo. La domanda per consumi e investimenti è di un quinto al di sotto di quella che sarebbe stata, se solo avessimo proseguito con il passo tenuto fino al 2008.
Queste sono grandezze di una potenza che ha perso una guerra, eppure noi in Europa non l’abbiamo neanche combattuta. Soprattutto in Italia sicuramente abbiamo tante riforme da fare nell’amministrazione, nel Fisco, nella giustizia, nell’apertura dei mercati e faremmo bene a non rinviarle. E occorre che i proventi di qualunque debito siano investiti bene, non sprecati. Ma parte del problema è che mancano in Europa la visione e la determinazione di Biden. Il Recovery Plan e la risposta della Banca centrale europea alla pandemia dimostrano che ci siamo messi in cammino, eppure ancora esitiamo. La nostra psicologia non è cresciuta alle dimensioni della struttura globale che ci siamo dati. I dubbi che serpeggiano nella Bce sull’attuale ritmo di espansione monetaria rivelano qua e là una mentalità da piccolo Paese mercantilista, anche se abbiamo le leve di una grande valuta di riserva globale.
Potremmo creare un nuovo programma da 200 miliardi di emissioni comuni europee per finanziare la ricerca, un altro per le reti digitali e un altro ancora per l’educazione, per esempio. La domanda di quei bond comuni in euro è ovunque nel mondo e dietro comunque ci sarebbe il sostegno della Bce. Rassegnarci a indossare le nostre cicatrici può convenire a chi scommette su una rivolta popolare di segno trumpiano anche in Europa. Ma non è un’alternativa ragionevole.