Rileggere adesso la politica di Angela Merkel verso la Russia aiuta a capire quale è stata la vera «colpa» dell’Occidente, la sua vera responsabilità, nella guerra in Ucraina
Il summit del G7 in Giappone è stato soprattutto una presa d’atto. Ha registrato i radicali cambiamenti ormai da tempo in corso nel rapporto fra the West and the Rest, fra l’Occidente e il resto del mondo. Chiusa la parentesi, durata solo pochi decenni, dopo la fine della Guerra fredda, dell’incontrastato predominio statunitense, tutti dobbiamo fare di nuovo i conti con la tradizionale, aspra, competizione fra le grandi potenze. Come è sempre stato. C’è la volontà della Cina di riscrivere le regole della convivenza internazionale in coerenza con il suo ormai raggiunto status di superpotenza. Anche usando la forza (Taiwan) se lo riterrà necessario. E c’è la sfida russa all’Occidente (Ucraina). Si può dire che nel caso degli europei, assuefatti, grazie alla protezione americana, a una lunga pace, una pace che dura dalla fine della Seconda guerra mondiale, non ci sarebbe stata alcuna sveglia, alcuna presa d’atto, senza l’aggressione all’Ucraina. Il 24 febbraio del 2022 (inizio dell’invasione russa) gli europei scoprirono improvvisamente di essersi svegliati, quella mattina, in un nuovo mondo.
Niente dimostra più efficacemente il cambiamento di percezioni e di giudizio da parte degli europei della vicenda di Angela Merkel. Parlarne aiuta a comprendere quali siano i problemi che gli europei devono fronteggiare oggi.
Possiamo riassumere con una formula la parabola dell’ex cancelliera tedesca: da «santa subito» a «Merkel chi?». Ricordate? Sia quando era al potere sia, ancor più, quando lo lasciò, Angela Merkel venne celebrata da tanti europei (italiani in testa) come una delle grandi statiste del secolo, una leader che, per tanti anni, aveva guidato con saggezza non solo la Germania ma anche l’Unione europea nel suo complesso. Ma la sua tanto celebrata statura politica, la sua grande reputazione, andarono in pezzi quando Putin diede il via all’invasione dell’Ucraina. Improvvisamente si capì ciò che, colpevolmente, non si era capito prima: se abbracci una belva (come fece Merkel con Putin) nel tentativo di ammansirla, quella prima o poi ti sbranerà. La politica di Merkel verso la Russia aiuta a capire quale fu la vera «colpa» dell’Occidente, la sua vera responsabilità, nella guerra in Ucraina. Secondo i teorici dei due imperialismi equivalenti (russo e americano), è la Nato, con la sua politica di espansione ad Est, la causa della guerra in Ucraina. Ma la colpa dell’Occidente (che c’è) è tutt’altra, è quella di non avere messo in atto per tempo le misure dissuasive che avrebbero forse scoraggiato il risorgente imperialismo russo: non è abbracciandola, ma agitando sotto il suo naso un grosso bastone, che si può impedire a una belva di azzannarti. Merkel non fu la sola responsabile. La responsabilità più grande, ovviamente, spettò agli Stati Uniti. E anche gli altri europei, come francesi e italiani, fecero la loro parte contribuendo al verificarsi del disastro. Ma Merkel, proprio perché a capo del più potente Stato europeo, ebbe un ruolo decisivo. Per niente turbata (al pari degli altri europei) dall’aggressione alla Georgia del 2008, Merkel scelse di non vedere cosa la Russia stava preparando al mondo. E perseverò (diabolicamente) quando, nel 2014, Putin invase il Donbass e si prese la Crimea. Per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale, una grande potenza violava il tabù su cui si fondava la pace in Europa (il tabù secondo cui i confini possono essere cambiati solo consensualmente) ma Merkel non modificò di un millimetro il suo atteggiamento verso la Russia. In combutta con il suo amico Putin mise intorno al collo di una Ucraina prostrata il cappio denominato «accordi di Minsk». In più, mentre fingeva di non vedere e di non sentire, sotto il suo governo, dopo il 2014, la dipendenza della Germania dal gas russo aumentò anziché diminuire. Dando così a Putin la sensazione di poter imporre agli europei, tramite il ricatto energetico, qualunque sua decisione. È vero: anche l’Italia faceva le stesse cose ma è evidente che se la Germania avesse cambiato politica, gli italiani si sarebbero dovuti adeguare.
È questo cumulo di errori che spiega perché il giudizio generale su Angela Merkel sia così repentinamente cambiato. La ex cancelliera ci ha lasciato (del tutto involontariamente) un insegnamento su ciò che non si può e non si deve fare.
In Ucraina si giocano contemporaneamente due partite. La prima riguarda, ovviamente, il destino di quel Paese. Il sostegno occidentale è vitale per aiutare gli ucraini a liberare il proprio territorio dall’invasore. La seconda partita, altrettanto vitale, per noi e per la pace in Europa, riguarda la necessità di creare proprio ciò che è mancato e che spiega l’invasione: un sistema di deterrenza così potente e soprattutto così credibile da inibire futuri tentativi russi di rimettere di nuovo in discussione i confini europei. Nella consapevolezza, che tutti dovrebbero avere a questo punto, che quella è l’unica strada disponibile per impedire una guerra generale in Europa.
Ma che un sistema di efficace deterrenza sia ricostituibile e in grado di durare nel tempo dipende, oltre che dagli esiti della guerra in Ucraina, anche dalla determinazione con cui gli occidentali sapranno sostenerlo. Saranno gli orientamenti che prevarranno nelle nostre democrazie a decidere se esse riusciranno a difendere la pace con le misure appropriate o se non ci riusciranno. Le opinioni pubbliche sono divise, in America come in Europa, a proposito dell’Ucraina. Che posizione assumeranno gli Stati Uniti se nelle prossime presidenziali vinceranno i repubblicani? Fino a quando sarà possibile in Europa arginare le pressioni di quella parte di opinione pubblica (in Italia è fortissima) che ha fatto proprio, adattandola ai nuovi tempi (post-comunisti), il vecchio motto «meglio rossi che morti»? È quella parte di opinione pubblica per la quale quanto accade in Ucraina non ci riguarda, dobbiamo farci i fatti nostri, non dobbiamo rischiare che Putin se la prenda anche con noi. Sono orientamenti diffusi che le minoranze politicizzate, anti-americane più che filo-putiniane, cercano di sfruttare per imporre la fine del sostegno europeo all’Ucraina.