L’Occidente, dove il livello di secolarizzazione tocca livelli mai visti, soprattutto in Europa, fatica a capire il punto
L’intreccio tra politica e religione costituisce uno dei nodi centrali dell’agenda contemporanea. In Ucraina, Putin ha utilizzato l’ombrello che gli ha offerto la chiesa ortodossa, guidata dal patriarca Kirill, per legittimare l’invasione condotta in nome «della difesa dei valori della tradizione della Grande Madre Russia».
Ormai da quasi mezzo secolo — cioè dalla creazione della prima Repubblica islamica nata in Iran nel 1979 dopo la rivoluzione khomeinista — il complesso e variegato mondo islamico è in uno stato di continua ebollizione, alla ricerca di una posizione da assumere rispetto alla sfida che viene dalla scienza, dalla tecnologia, dal benessere, dalla democrazia del mondo occidentale. Una tensione che è tornata ai livelli di massima intensità con il barbaro attacco di Hamas e la reazione di Israele.
Ancora, l’intreccio tra politica, economia e religione si vede molto bene nell’ascesa dell’India guidata dal nazionalista indù Modi, così come nei focolai che si registrano nei Balcani e nel Nagorno Karabakh.
L’intreccio tra interessi materiali di tipo politico-economico e visioni religiose non è certo una novità e accompagna da sempre le vicende della storia. Semplicemente perché le religioni sono una risorsa simbolica per l’azione politica. E viceversa: da sempre le religioni usano la politica per affermarsi o semplicemente per sopravvivere.
L’Occidente — dove il livello di secolarizzazione tocca livelli mai visti, specie in Europa — fatica a capire il punto. L’ultima volta in cui gli Stati Uniti usarono dei riferimenti religiosi per sostenere le proprie azioni politiche risale alla presidenza di George Bush. Ma sono passati vent’anni. E nessuno oggi pensa più di tornare a quel tipo di impostazione. La netta separazione tra politica e religione costituisce infatti un tratto distintivo del nostro percorso storico che, come ricordano gli storici, ha strettamente a che fare con alcuni elementi distintivi della religione cristiana.
Così, oggi noi facciamo fatica a capire quanto la religione continui a pesare sulla decisione politica. Una sottovalutazione che da un lato ci espone a dei rischi — non capire cosa muove effettivamente gli altri mondi — e a degli errori — cercare la soluzione nella direzione sbagliata.
Nel suo percorso, l’Occidente secolarizzato ha abbandonato ogni riferimento trascendente, convincendosi che tutto si debba decidere esclusivamente in relazione alla vita concreta — teoricamente di ogni singolo individuo — qui sulla Terra. In questa prospettiva, il legame che la politica riconosce non è più con la religione, ma semmai con la scienza e la tecnica, che giocano un ruolo fondamentale per il miglioramento delle condizioni di vita. La nostra politica — che già Machiavelli pensava dovesse essere valutata per la sua capacità di raggiungere risultati piuttosto che per la sua aderenza a principi morali — si legittima integrando la crescita economica con la ricerca scientifica e l’innovazione tecnica.
Qui sta il punto. Perché è chiaro che, all’interno delle cosiddette società avanzate, la tecnica ha preso il posto della religione nell’orientare, se non addirittura guidare, l’azione politica. Accrescere attraverso i mezzi tecnici le possibilità di vita individuali diventa il fine politico.
Al fondo c’è il tema della potenza, che guida ogni forma organizzata di potere, come realizzazione di ciò a cui si mira in ultima istanza. Da noi, oggi la potenza ha a che fare con il benessere dei cittadini, l’unica «salvezza» che riusciamo a concepire. Altrove, invece, le metriche con cui si valuta l’azione politica continuano a essere influenzate da considerazioni di tipo religioso.
La libertà religiosa — che è la soluzione adottata dal modello occidentale (realizzatasi soprattutto negli Stati Uniti nel quadro delle diverse confessioni cristiane) — è esattamente ciò che viene rifiutato. In un certo senso, quando si ammette la libertà religiosa, il problema ha già le premesse per essere risolto.
La situazione nella quale ci troviamo oggi vede le religioni non secolarizzate — incardinate in poteri politici nazionali — che non disdegnano l’uso della scienza e della tecnica (si pensi ai droni dell’Iran) per raffermare la propria potenza contro gli occidentali «senza Dio». Per questa ragione, se si vuole trovare il modo di convivere nel mondo globalizzato occorre discutere i tre lati del prisma costituito da politica, religione e tecnica.
Sciogliere questo nodo non sarà semplice. Detto che non è pensabile (né auspicabile) una situazione in cui qualcuno abbia il monopolio della violenza (cioè della politica) su scala globale, la lotta di tutti contro tutti può essere evitata solo sviluppando strumenti, istituzioni e metodologie di dialogo negoziale.
Sapendo che le poche esperienze istituzionali che abbiamo — Onu, Fmi, Wto o le Cop per il cambiamento climatico — sono ancora molto fragili, e di fatto inadatte a comporre le tensioni che continuamente risorgono sul piano planetario.
Il tempo che stiamo attraversando è caratterizzato da una novità strutturale che pone problemi inediti. La possibilità di andare in una direzione positiva ha a che fare con la comprensione che il problema che dobbiamo risolvere ha tre (non solo due) lati.