La proposta di Maiorino (M5S) doveva raggiungere la maggioranza assoluta. Proteste in Aula all’esito della votazione. Cirinnà: “Un anticipo di quello che ci aspetta se vincono le elezioni”. Valente: “Gravissimo”
Fratelli d’Italia chiede loscrutinio segreto nel voto sul Regolamento e al Senato non passa l’emendamento della senatrice cinquestelle Alessandra Maiorino che chiedeva di adottare il linguaggio di genere nella comunicazione istituzionale dell’aula. La proposta che chiedeva l’introduzione di un “linguaggio inclusivo” nel Regolamento ha ottenuto 152 voti favorevoli che però non sono stati sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per questa votazione. E subito si è scatenata la protesta anche di chi chiedeva che si ripetesse il voto una seconda volta.
La presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati taglia corto: “A me sembrano tutte cose considerazioni pretestuose – ha detto Casellati -. Bisogna accettare che in Parlamento non si rifà una votazione perché il risultato non piace. Questa è una cosa inaccettabile”. Questo era il senso del’emendamento: “Il Consiglio di presidenza stabilisce i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne”.
Insorge il M5S. “Al Senato oggi si è persa una grande occasione per rendere inclusivo e paritario il linguaggio istituzionale con la mancata approvazione dell’emendamento Maiorino al regolamento che aveva lo scopo di aprire all’uso della distinzione di genere nel linguaggio delle comunicazioni istituzionali e nel Regolamento. FdI lo ha ritenuto una questione ‘etica e di coscienza’, chiedendo il voto segreto che la presidente Casellati ha prontamente concesso. È evidente la misoginia di chi ha votato contro rifiutando l’utilizzo del femminile e confermando così l’imposizione del solo maschile. Una vergogna a cui si dovrà porre rimedio nella prossima legislatura”: scrivono in una nota le parlamentari e i parlamentari del Movimento del gruppo Pari opportunità. E c’è chi lo interpreta immediatamente come un fosco presagio. “Se questo è l’anticipo del nuovo Parlamento – scrive in un tweet la senatrice Monica Cirinnà, responsabile Diritti del Pd -, abbiamo un motivo in più per lottare con forza. La nostra Italia crede nell’eguaglianza”. “La destra chiede il voto segreto per affossare l’emendamento per introdurre nel Regolamento del Senato la parità di genere nel linguaggio ufficiale. Questa è la destra reazionaria che vuole guidare il Paese: per loro le donne non esistono neanche nel linguaggio”. Così su Twitter la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi. E Anna Rossomando (Pd): “E’ evidente che di parità di genere non ne vogliono sentire neanche parlare. O con il loro oscurantismo o con noi. La scelta è tutta qui”.
Anche la ministra alle Pari opportunità giudica grave quel che è accaduto oggi in Senato. “L’ennesimo esempio di come ci si riesca a sottrarre a comuni responsabilità verso il Paese pensando che le cittadine e i cittadini non vedano e non sappiano mai – dice Bonetti -. Realizzare la parità tra donne e uomini è creare sviluppo, è crescita, è democrazia per il nostro paese. È stato ed è l’impegno del presidente Draghi e del governo”. Ma il commento più duro è quello di Laura Boldrini, deputata Pd e presidente del comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. Boldrini accusa direttamente il partito di Giorgia Meloni: “Oggi un altro colpo basso inferto alle donne: mettere al bando l’uso del genere femminile quando si tratta di ruoli apicali, vuol dire fare una ulteriore discriminazione ai danni delle donne”.
E la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della commissione Femminicidio, dice: “I nodi vengono al pettine. Il linguaggio è un fattore fondamentale di parità. Verbalizzare la differenza vuol dire riconoscerla, negarla vuol dire chiedere alle donne l’omologazione a modelli maschili. Il ruolo declinato al maschile non è neutro, è semplicemente maschile e nega la differenza. Impedire alle donne di essere riconosciute nel ruolo per quello che sono vuol dire continuare a concepire quei ruoli e quelle funzioni come qualcosa unicamente appannaggio degli uomini, e presentarli come neutri è sbagliato oltre che furbesco. Il tema non si è mai posto per maestra o infermiera, chiediamoci perché si pone per parlamentare o presidente. Negare questo passo di civiltà e di progresso a una delle più importanti istituzioni del paese racconta molto dei rischi che una cultura reazionaria può innescare”.