La certificazione scade dopo tre anni. Il rischio è che, una volta incassato il vantaggio reputazionale del primo «giro», le imprese non la rinnovino
L’Italia è scesa di otto posti nella classifica dell’equità tra uomini e donne del World economic forum. Gli altri Paesi vanno avanti, noi stiamo fermi. E il divario aumenta. In particolare quello sul lavoro.
Che strumenti abbiamo, già operativi, per agire subito? Uno è la certificazione delle imprese sulla parità di genere (prassi UNI/Pdr 125-2022). L’importante è che non vada sprecato. Vediamo intanto di che cosa si tratta. Con la certificazione, alle aziende viene dato il voto su sei «materie»: equità delle retribuzioni, tutela della genitorialità, inclusione delle donne, processi legati alle risorse umane, cultura e strategia, governance. I voti, come a scuola, vanno da uno a dieci. Per avere la certificazione basta meritare un sei di media.
Le imprese certificate hanno superato abbondantemente quota 2.000 e stanno continuando ad aumentare. Bene. Ma questo non è il momento di gridare vittoria, è quello di continuare a lavorare a testa bassa. La certificazione scade dopo tre anni. Il rischio è che, una volta incassato il vantaggio reputazionale del primo «giro», le imprese non la rinnovino. Soprattutto quando verranno meno incentivi e premialità (il Pnrr stanzia risorse a copertura delle spese per la certificazione, fondi talvolta incrementati dalle Regioni). Per questo la prassi UNI/Pdr125 deve diventare in tempi brevi una condizione abilitante del fare impresa. Il punto è: come si può raggiungere in tempi brevi questo obiettivo?
Le imprese nel nostro Paese sono oltre 4 milioni, il 95% sotto i 10 dipendenti. La sfida è coinvolgere anche le piccole realtà. I grandi gruppi possono diventare un traino straordinario, introducendo premialità nelle gare per le imprese fornitrici che vantano la certificazione. Winning women institute con il supporto del Forum della meritocrazia ha messo a punto un vero e proprio «Manifesto sulla parità di genere nella filiera italiana». Siamo agli inizi, le aziende firmatarie al momento sono 16, tra quelle più note al grande pubblico ci sono Danone, Sanofi, Edenred. Premiando i fornitori certificati, questi gruppi incentivano tutte le imprese della loro filiera a prendere impegni sul fronte dell’equità.
Sarebbe utile che anche gli enti pubblici si comportassero allo stesso modo. Purtroppo oggi questo non avviene sempre. Il Codice degli appalti, infatti, non obbliga all’introduzione di premialità per le aziende che hanno la certificazione. Ma se si i privati hanno capito l’importanza di questo impegno, perché anche il settore pubblico non si mobilita?