22 Novembre 2024

Fonte: Huffington Post

di Federica Fantozzi

Franceschini spinge per l’ex premier. I zingarettiani vorrebbero Provenzano

Ai giorni dell’appello seguono quelli del mutismo. Esaurite le esortazioni, è scattato il silenzio ufficiale. La deadline offerta dal “gruppo dirigente” a Nicola Zingaretti per ripensarci è scaduta con l’intervista del segretario uscente a Barbara D’Urso, che non è stata accolta con tripudio ai piani alti del Nazareno. A questo punto la parola d’ordine, accanto a “fare presto”, diventa quella di eleggere un segretario con pieni poteri, autorevole e capace di gestire questa fase. L’obiettivo è che l’assemblea del 13 marzo – data ancora in piedi – non metta in campo né reggenti né congressi.

Sul nome, però, l’accordo tra le correnti è ancora lontano. Raccontano che il pressing per convincere Enrico Letta a rimpatriare, soprattutto su iniziativa di Dario Franceschini, non sia stato frenato dal disimpegno pubblico dell’attuale direttore della School of International Affairs di SciencesPo. “Con sorpresa ho letto sui giornali (Repubblica, ndr) il mio nome come possibile segretario del Pd – ha twittato ieri – Ma io faccio un’altra vita e un altro mestiere”.

Pur considerato una personalità di indiscusso standing e capacità, una “risorsa” come si diceva un tempo, il nome di Letta lascia qualche dubbio negli zingarettiani e nell’ala più a sinistra dei Dem. Non certo per il “pedigree” lettiano, precocemente europeista, da sempre attento ai temi del welfare e del lavoro con grande sensibilità sociale (il suo motto in politica è l’inno del Liverpool: you’ll never walk alone), presidente dell’Istituto Jacques Delors, che negli ultimi anni ha persino intensificato i rapporti con il socialismo europeo. Il punto problematico risiederebbe nella congiuntura con Mario Draghi a Palazzo Chigi, e nella prospettiva di un asse forte e capace di orientare in modo netto le politiche di un partito confuso. Sullo sfondo, remota ma minacciosa, la competizione tra ex Ds ed ex Margherita, le due anime fondatrici del Pd che questa crisi ha rianimato.

In questo quadro, l’area del segretario dimissionario punterebbe piuttosto su due nomi: il giovane e apprezzato ex ministro del Sud Peppe Provenzano, oppure la portavoce della Conferenza delle Donne Cecilia D’Elia. Ma le indiscrezioni su un’ipotetica corsa per il Campidoglio di Zingaretti – che lui, in collegamento con la trasmissione di Barbara D’Urso, ha però smentito – mettono in circolazione anche il nome dell’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, finora considerato il candidato più accreditato per sfidare Virginia Raggi.

Sulla corsa al dopo-Zingaretti non si è ancora pronunciato Andrea Orlando, vice-segretario e candidato “naturale” alla reggenza, che potrebbe nutrire legittime ambizioni alla segreteria. Infine, c’è la partita di Base Riformista, che non vuole Orlando ma neppure sarebbe disposta a chiudere un accordo sui nomi zingarettiani usciti finora. Tra i “gueriniani” qualcuno evoca – senza crederci troppo – il ritorno al timone di Walter Veltroni. L’opzione residuale è quella di di tenersi le mani libere, non partecipando alla votazione.

Prodromi di movimenti, mentre il tempo stringe. Ma contorsioni che certo non incentivano Letta a cambiare idea. L’ex premier ha abbandonato Italia e Parlamento dopo che la direzione nazionale del suo partito (di cui non ha più rinnovato la tessera) il 13 febbraio 2014 lo ha sfiduciato per mandare a Palazzo Chigi il neo-segretario Matteo Renzi. Un evento vissuto più che uno strappo come una vera “pugnalata”, ben testimoniata dal cupo scambio della campanella tra i due. E un benservito approvato a larghissima maggioranza dai Dem (136 favorevoli, 16 contrari, 2 astenuti), molti dei quali sono ancora in sella. Complicato che Letta – oggi “sereno” nella sua nuova vita di pendolare tra Parigi e Roma – ceda alla richiesta di salvare il salvabile in condizioni politiche persino più ostili. Impossibile che lo faccia senza una richiesta unitaria e in presenza anzi di dubbi, distinguo, tentennamenti.

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