22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Riccardo Franco Levi

Il governo ha deciso di non aderire all’intesa per l’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo firmata da sedici Paesi dell’Unione, tra cui Francia e Germania


La prospettiva di una vittoria finale di Emmanuel Macron nella corsa all’Eliseo rilancia le speranze per un’Europa che ritrovi ambizione e coraggio. E sotto la spinta di una ritrovata intesa tra Francia e Germania, chiaramente auspicata e invocata tanto da Parigi quanto da Berlino, si può prevedere che riprenda forza il progetto di un’Europa a due velocità.
Tutto bene, dunque, anche per noi, visto che nessuno potrebbe immaginare un’Unione Europea che faccia un passo in avanti senza l’Italia? Purtroppo, non è detto che le cose stiano proprio così. È di pochi giorni fa la decisione di sedici Stati membri dell’Unione di dare corpo all’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo. Si erano appena spente le luci sulle celebrazioni per i sessant’anni dei Trattati di Roma. Era partita l’Europa a due velocità. Ma tra i sedici paesi firmatari — c’erano, tra gli altri, la Francia, la Germania, il Belgio, la Spagna, la Grecia — non c’era l’Italia.
In un’intervista a Il Sole 24 Ore, il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva anticipato è spiegato la decisione di non aderire. L’intesa raggiunta era troppo «debole», frutto di compromessi che avevano tolto sostanza al progetto originario così come era stato disegnato nel 2013 dalla Commissione Europa con il pieno sostegno del nostro paese. Non più un organismo autenticamente sovranazionale, ma solo un «collegio» di pubblici ministeri designati dai governi nazionali. Non più un autonomo potere d’indagine su scala europea, ma solo una generale possibilità di controllo sull’operato dei procuratori nazionali.
Critiche fondate, quelle del Guardasigilli. Con l’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo così come l’hanno voluto e infine approvato i sedici paesi firmatari dell’intesa siamo al di sotto del livello richiesto per corrispondere alle migliori ambizioni europeo. Al di sotto, come in tante altre occasioni, come in tanti altri campi in questa stagione di un’Europa timida e intimorita.
Eppure, la strada che il governo italiano ha deciso di imboccare per far valere le proprie ragioni è sbagliata. Non una, ma tre volte sbagliata. È sbagliata una prima volta perché pensare di essere più forti e di far meglio sentire la propria voce restando fermi sulla banchina mentre gli altri si allontanano sul treno che va è un’illusione. Con l’evidenza di una prova di laboratorio, lo dimostra il precedente del Brevetto Unitario europeo, una cooperazione rafforzata alla quale nel 2015 abbiamo finalmente aderito come ventiseiesimo Stato ma dalla quale decidemmo — era il 2012, governo Berlusconi — di restare inizialmente fuori, contestando l’assenza dell’italiano tra le lingue di lavoro. Il risultato fu che nulla cambiò quanto al regime linguistico dell’istituzione e al privilegio a favore dell’inglese, del tedesco e del francese e che perdemmo l’occasione di vedere collocato a Milano una delle tre sedi «principali» del Tribunale Unificato. Una perdita solo parzialmente compensata dalla recentissima attribuzione a Milano di una sede «locale» del Tribunale.
La decisione di non partecipare alla nascita dell’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo perché debole e non ancora perfetto è sbagliata una seconda volta perché, col medesimo criterio, non avremmo dovuto essere sessant’anni fa tra i fondatori di un’Europa unita ma senza competenze nei campi della difesa e della politica estera o entrare tra i primi nell’euro, cioè in un’unione economica e monetaria ancora priva di una comune politica di bilancio.
È sbagliata, infine, per un una più generale ragione. L’espressione «Europa a due (o a più) velocità» potrà limitarsi a descrivere il vestito di Arlecchino che risulterà dalla somma, occasionale e contingente, delle formazioni che si saranno prodotte nei diversi campi oggetto di «collaborazioni rafforzate». Oppure potrà indicare la precisa volontà politica di procedere alla progressiva costruzione di un’Europa realmente capace di governare come soggetto unitario quelle attività e quei fenomeni che trascendono le capacità e i poteri dei singoli Stati nazionali, dalla difesa all’immigrazione, dall’energia alla politica estera e di sicurezza.
Perché a prevalere sia quest’ultimo progetto, occorre che un nucleo compatto di paesi scelgano di avanzare sempre insieme, condividendo l’impegno a una più stretta cooperazione ogni volta che ne saranno maturate le condizioni. Esattamente il contrario di quanto abbiamo fatto per il Pubblico ministero europeo. «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo proprio per niente?». Questo interrogativo se lo poteva porre nel 1978 il giovane Nanni Moretti di Ecce Bombo, quello di «vedo gente, faccio cose». Non può farlo suo, oggi, il governo italiano.

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