Il 31 gennaio la Fondazione Magna Carta, con la partecipazione di membri della Corte Costituzionale, giuristi e protagonisti della vita politica, cercherà di indicare come in tema di regole, garanzie e trasparenza dei partiti si possa fare «un passo avanti»
Caro direttore, in Italia la «società anonima», per come essa è regolata dal Codice Civile, è tenuta ad offrire molte più garanzie pubbliche del «partito politico». Se si pensa che la prima rappresenta la più caratteristica espressione di quelle forme d’iniziativa private raggruppate nella denominazione «capitalismo», mentre il secondo è un soggetto che agisce come cinghia di trasmissione tra istituzioni e cittadini e che per di più, al fine di svolgere tale funzione, riceve finanziamenti pubblici, la circostanza appare un paradosso.
Il tema della regolamentazione dei partiti fu posto tra gli altri da uomini quali Mortati, Sturzo, Paggi, Maranini, Ungari. Per ragioni eminentemente storiche esso, però, non ha trovato soluzioni soddisfacenti. Fu affrontato in sede costituente a fine ’46. Allora la questione venne introdotta da Lelio Basso e ricevette l’entusiastico sostegno, tra gli altri, di La Pira, Moro e Togliatti. Quelle «massime» adesioni produssero però un «minimo» risultato. Dopo di esse lo scoppio della Guerra Fredda portò al cambio della formula governativa e le opposizioni (i comunisti in particolare) iniziarono a temere che il dettar regole al partito (per di più costituzionali) potesse divenire un Cavallo di Troia per violare la loro sfera di autonomia. Il tempo storico nel quale il compromesso costituzionale venne a perfezionarsi, insomma, non consentì di trovare la soluzione adeguata: sarebbe stato necessario attendere un’altra stagione.
Da allora, sebbene sia scorsa tanta acqua sotto i ponti, la situazione non è però mutata. Scioltisi i vincoli della Guerra Fredda, la cosiddetta «Seconda Repubblica» non ha portato con sé la legittimazione reciproca tra i due principali schieramenti. Inoltre, essendo essa nata come reazione allo strapotere fin lì esercitato dai partiti, invece di sottoporre questi al rispetto di regole e garanzie, ha preferito provare a sminuirne ruolo e funzione. Per questo, si potrebbe persino affermare che tra il tempo del «bipartitismo rissoso» della Seconda Repubblica e quello successivo dell’«insorgenza populista» vi siano stati, sotto tale aspetto, più motivi di continuità che di rottura. La diffidenza verso forme di partecipazione trasparente e garantita si è solo ampliata ed ha finito con l’investire, oltre i partiti, anche i cosiddetti think tank: luoghi che nelle democrazie moderne svolgono i compiti di approfondimento, studio e dibattito ai quali i partiti non riescono più ad assolvere.
Questo contesto così coerente presenta solo una piccola contraddizione. Fu introdotta a suo tempo dal governo Letta, quando venne affidato a una apposita Commissione il compito di tenere un registro dei partiti che, per le garanzie di democrazia interne fornite attraverso i loro Statuti, avrebbero potuto accedere al finanziamento pubblico. È poco ma su quella contraddizione, se si vuole, si può lavorare. Proprio a tal fine il 31 gennaio la Fondazione Magna Carta, con la partecipazione di membri della Corte Costituzionale, giuristi e protagonisti della vita politica, cercherà di indicare come in tema di regole, garanzie e trasparenza dei partiti si possa fare almeno «un passo avanti».
Le ragioni per provarci certo non mancano: candidature piovute dall’alto, regole interne improvvisate, statuti che non temono concorrenza con quelli caratteristici dei regimi autoritari. In Italia, insomma, la partecipazione del cittadino alla vita pubblica è, se non boicottata, seriamente ostacolata.
In questo inizio di legislatura in Parlamento sono però giunte proposte per rafforzare il ruolo di quella Commissione ed altre ancora più ambiziose. Presto andranno in discussione. Se al governo è concesso dare un consiglio non richiesto, oltre che di grandi riforme, si occupi anche di quelle apparentemente più piccole che riguardano la disciplina del voto e le forme di partecipazione alla vita pubblica. La disaffezione, l’astensionismo, il populismo si combattono anche così.