Parla il presidente dell’Abi: “La data di giugno è ragionevole e probabilmente Francoforte anticiperà le decisioni della Fed. I conflitti sono una incognita economica gravissima. È stato un bene rafforzare i patrimoni delle banche”
«La Bce si muove con prudenza. È comprensibile perché se nell’Eurozona l’inflazione è scesa in marzo al 2,4% e in Italia addirittura all’1,2%, in diversi Paesi i valori sono ancora alti. Però i ribassi sono maturi e lo stesso mercato ce lo indica. La data di giugno mi sembra ragionevole».
Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, si sta preparando al momento in cui le banche dovranno stringere nuovamente la cinghia riducendo i margini di profitto. Sia che tocchi allo stesso Patuelli gestire la nuova fase, sia a uno dei potenziali successori (Gros-Pietro, Profumo o altri): il rinnovo dei vertici associativi è fissato anch’esso in giugno.
Presidente, perché diceva che il mercato ha già deciso che i tassi stanno per ribassare?
«Oltre all’evidenza dell’inflazione ormai domata, i Btp a dieci anni sono quotati al 3,84% quando pochi mesi fa rendevano il 4,99%. Hanno cioè superato al ribasso il tasso ufficiale Bce del 4,5%. E le banche offrono prestiti con un Euribor al 3,89% e un Irs (Interest Rate Swap, interesse interbancario di riferimento per i mutui a tasso fisso, ndr) al 2,75%. Nulla impedisce che la Bce preceda la Fed, anzi finirà probabilmente così visto che l’inflazione in America è risalita al 3,5% in marzo, secondo mese consecutivo in salita, dopo essere scesa al 3,1% in gennaio».
Addio extra-profitti allora, come li chiama il governo Meloni?
«Guardi, è stata una congiunzione fortunata se la paventata supertassa è stata convertita in accantonamento a riserve. Se dopo tanti anni di tassi a zero il settore ha vissuto una breve fase di respiro, non ha fatto altro che rafforzarsi patrimonialmente. Per fortuna ha potuto farlo: il primo gennaio 2025 entreranno in vigore le regole Basilea 3+ con un’ulteriore necessità di incrementare il capitale proprio. Per di più, le autorità di vigilanza italiane, adeguandosi a quanto fatto da quasi tutti gli altri Paesi europei, stanno aumentando di 100 punti base i requisiti patrimoniali delle banche per grandi rischi sistemici».
Pandemie, guerre?
«Certo. Purtroppo i conflitti che sono combattuti così vicino a noi, oltre allo strazio umanitario sono un’incognita economica gravissima. Per l’Italia temo soprattutto la crisi di Suez: se si chiude il canale, il nostro Paese resta tagliato fuori dai grandi traffici internazionali».
Condivide l’appello di Mario Draghi per un’Europa a più velocità? E a proposito: che cosa pensa della possibilità che l’ex-premier divenga presidente della Commissione?
«Draghi ha acquisito tale prestigio, competenza e rispetto, che sarebbe un’ottima scelta. Ma anche se dovesse andare diversamente, e molto ovviamente dipenderà dall’esito delle elezioni, sarà importante avere un commissario italiano con la qualifica di vicepresidente. L’unica volta in cui l’Italia era assente da portafogli economici è stato il quinquennio 2014-19. Credevano di averci soddisfatto nominando Federica Mogherini rappresentante per la politica estera, una carica poco più che onorifica. Il destino ha voluto che proprio in quegli anni scoppiassero in Italia le crisi bancarie. Con l’aggravante che Bruxelles ci proibì di usare il fondo interbancario ritenendolo uno strumento pubblico di soccorso: alla fine, i nostri ricorsi ai tribunali comunitari ci hanno dato ragione, ma ormai il guaio era fatto».
E l’Europa a più velocità?
«La chiamerei “cooperazione rafforzata”. In fondo, l’euro, la vigilanza unica sulle banche e potenzialmente la stessa unione bancaria sono dei prototipi. Attenzione, non parliamo di voto a maggioranza perché in quel caso la minoranza sarebbe costretta a comportamenti che non vuole adottare. Cooperazione rafforzata significa che chi vuole procedere per una certa strada lo fa, senza aspettare gli altri. Chi ha delle diffidenze, non è obbligato».
In pratica cosa si potrebbe fare?
«Per esempio la stipula di codici che regolino cogentemente alcuni settori come il nostro. C’è poi il grande discorso della difesa. Bisogna andare indietro fino alle origini, ai tentativi di Alcide De Gasperi, per capire quanto sia difficile architettare sinergie industriali nel settore, che ora sarebbero purtroppo fondamentali».
Infine, tornando in casa nostra, è soddisfatto della soluzione del nodo PagoPA?
«È stato un percorso un po’ accidentato ma alla fine è stata trovata una formula sensata: il Poligrafico prende il 51%, le Poste il 49% con il divieto assoluto di utilizzare informazioni riservate per la clientela dei suoi servizi finanziari. E a vigilare sul tutto, l’autorità antitrust. Com’era nella logica».