Il candidato alla convention programmatica: ok a Giarrusso ma prima deve chiedere scusa. Elly Schlein incalza: saremo noi la vera sorpresa delle primarie
«Noi siamo una comunità aperta e accogliente, ma diamo e pretendiamo rispetto. Se Dino Giarrusso vuole iscriversi, prima di tutto si scusi con Roberta Pinotti e con gli altri democratici che ha offeso. E mostri rispetto per questa comunità, che ha attaccato più di una volta con parole e toni che non sono quelli del Pd».
È forse il passaggio più applaudito del discorso di Stefano Bonaccini al Talent Garden di Milano, dove è andata in scena la convention programmatica di due giorni per la sua candidatura alla segreteria del Pd, ad eccezione della standing ovation che poco prima aveva accolto il saluto a Sergio Mattarella, rieletto al Quirinale proprio un anno fa.
Il caso Giarrusso
Il giorno prima l’annuncio dal palco dell’ex iena ed ex 5 Stelle Giarrusso («entro nel Pd al fianco di Bonaccini, un ottimo amministratore») aveva infatti provocato più di una protesta e un mugugno, dal momento che Giarrusso è stato uno dei “grillini” più agguerriti nella critica demolitoria del Pd, arrivando ad accusare l’allora ministra della Difesa Pinotti di avere «le mani lorde di sangue». E attorno a Bonaccini si raccolgono i riformisti dem e gli ex renziani rimasti nel Pd, ossia tra i più ostili all’asse privilegiato con il M5s di Giuseppe Conte.
«Senza impresa non c’è lavoro»
Con la richiesta di scuse a Giarrusso Bonaccini prova insomma e rimettere la barra al centro e a riportare l’attenzione sulla sua proposta programmatica e sulla sua idea di Pd. E in un discorso lungo e appassionato – preceduto dalle note di “A muso duro” di Pierangelo Bertoli e accompagnato in chiusura dalle note di Piazza Grande di Lucio Dalla – alla fine ci riesce. «Non siamo una forza né di protesta, né di testimonianza – scandisce nella sala strapiena -. Siamo il partito democratico. La sinistra progressista e riformista che mette al centro il lavoro e le imprese serie, che creano occupazione di qualità. Senza impresa, non c’è lavoro. E senza crescita non c’è nulla da redistribuire, altro che decrescita felice».
In un momento in cui la sinistra del Pd, arricchitasi ora con il rientro dei bersanian-dalemiani di Artitolo 1, ritorna a parlare della necessità di «cambiare il modello di sviluppo», riportare al centro del discorso democratico le parole impresa e crescita non è poco. Così come ricordare che accanto al lavoro dipendente ci sono «autonomi e partite Iva, che in questi anni abbiamo colpevolmente lasciato alla destra».
La rivendicazione della vocazione maggioritaria
Insomma quello che vuole far rivivere Bonaccini è il partito della «vocazione maggioritaria», ossia un partito che parla a tutto il Paese senza delegare la rappresentanza dei ceti popolari alla sinistra e dei ceti moderati al Terzo polo. E uno dei corollari della vocazione maggioritaria è porsi al centro dell’alternativa di governo e quindi esprimere anche il candidato premier della coalizione che sfiderà la destra alle prossime politiche, come mette in evidenza Carlo Cottarelli parlando alla platea bonacciniana: «Sono qui per spiegare perché Stefano ha il merito e la capacità di essere il prossimo presidente del Consiglio. Se il Pd è a vocazione maggioritaria allora lui potrà essere il miglior premier, e nella sue mani l’Italia può diventare il Paese migliore d’Europa».
La difesa del nome «democratico»
Il raddrizzamento della barra riguarda anche la questione del nome del partito, che la sinistra (Giuseppe Provenzano, Andrea Orlando e anche la principale competitor di Bonaccini Elly Schlein) vorrebbe cambiare introducendo la parola lavoro. A parte che per Bonaccini bisogna parlare piuttosto di «lavori», il punto è che «è sempre più evidente che la demcorazia non goda di buona salite: è sotto attacco dall’esterno e dall’interno». E dunque «ci chiamiamo partito democratico non perché 16 anni fa di fosse ricercato un minimo comun denominatore, lessicale prima ancora che valoriale, tra le culture fondatrici. Non ci si era arrivati per sottrazione, ma per visione: l’intuizione, cioè, che la democrazia è il fondamento della nostra idea di società per l’aspetto sostanzionale che ha in sè il rapporto tra governanti e governati, tra comunità e istituzioni. Per questo Partito demcoratico è un nome importante: è un’idea valoriale forte e un progetto di società. I fatti di capitol Hill e di Brasilia sono lì a dimostrarlo, esattamente come l’aggressione di Putin all’Ucraina».
Un discorso da segretario in pectore
Nel discorso di Bonaccini, un discorso da segretario in pectore che guarda già al lavoro di opposizione al governo Meloni e alle prossime elezioni nazionali, le europee del 2014, c’è molto altro: la necessità di investire sulla sanità e la scuola, con le proposte di elevare a 18 l’obbligo scolastico e di eliminare il numero chiuso per l’ingresso a medicina; ma anche la transizione ecologica che non può prescindere dalla salvaguardia dei posti di lavoro e dal principio di realtà, con il sì ai rigassificatori e ai termovalorizzatori. E poi l’insistenza sul taglio del cuneo fiscale come strada per rendere il lavoro stabile più conveniente per le imprese e così ridurre il precariato che uccide i giovani.
I due partiti che convivono nel Pd e il rischio paralisi
Ma il senso politico resta il tentativo di rimettere la barra al centro dopo lo scivolone sul caso Giarrusso di sabato e dopo l’abiura del Jobs act renziano davanti ai cancelli di Mirafiori di venerdì: al Talent Garden il governatore dell’Emilia Romagna ha voluto riconnetersi sentimentalmente e politicamente con tutti i riformisti del Pd che lo sostengono: «Dobbiamo essere un partito davvero riformista: io di una sinistra minoritaria e massimalista non so che farmene». C’è da chiedersi se Bonaccini, una volta che dovesse essere eletto segretario confermando le previsioni per le primarie del 26 febbraio, avrà la forza politica di portare avanti la sua linea politica senza provocare la sollevazione, e forse la scissione, della sinistra del partito. Perché il vero rischio per il Pd è la paralisi, con il M5s e il Terzo polo a corrodere I fianchi.
Schlein incalza: saremo la vera sorpresa di queste primarie
Molto dipenderà dallo scarto che Bonaccini avrà nei confronti di Schlein: più sarà grande, più la sua linea politica avrà forza. Lei, l’ex leader di Occupy Pd, punta tutto sul voto dei giovani e delle donne. «Saremo la vera sorpresa di queste primarie, lo vedo dall’entusiasmo negli occhi delle persone, di tanti nuovi iscritti che si stanno iscrivendo, di tanti giovani che si stanno avvicinando per la prima volta, dell’associazionismo che si riaffaccia: è un ricongiungimento familiare», dice mentre gira l’Emilia Romagna per la sua campagna. E ancora: «Veniamo da valori antichi ma vogliamo rinnovare questo partito, il suo metodo e anche la classe dirigente. Io e Bonaccini siamo molto diversi dal punto di vista della prospettiva politica e anche del metodo che mettiamo in campo, ma il più bel regalo che possiamo fare al Pd è la promessa che dopo le primarie lavoreremo insieme».