Il dopo Quota 100
Riforma delle pensioni in vista. L’ennesima. Unica certezza: «Quota 100» cesserà i suoi effetti alla fine dell’anno e non verrà rinnovata (nonostante le dichiarazioni bellicose di Salvini). La nuova legge di bilancio 2022 dovrebbe portare un allargamento della platea dell’Ape sociale. E, dunque, se i 62 anni di Quota 100 sono fuori discussione (bocciati anche dall’Europa), si inizia a ragionare sulle uscite dal lavoro in anticipo compiuti i 63 anni di età. Quindi, come chiedono anche i sindacati, non si tornerà alla legge Fornero, che prevedeva la possibilità di andare in pensione solo dopo aver compiuto i 67 anni, ma uscite anticipate a 62-63 anni. Ipotesi sul tavolo. Ma resta il nodo dei costi. Nell’attesa di sapere cosa accadrà dopo che sarà presentato a novembre il parlamento il testo ufficiale della legge di Bilancio, vediamo di capire meglio quali opzioni sono in campo.
Il nodo dei costi
Come sappiamo, sostituire Quota 100 costa. Come ha scritto Enrico Marro su Corriere, il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età, come chiede il sindacato, costerebbe 4,3 miliardi nel 2022 e circa 9 miliardi dal 2028 in poi. Meglio l’ipotesi di aumentare a 64 anni il limite per uscire con 36 di contributi: 1,2 miliardi il primo anno, che salirebbero a 4,7 miliardi nel 2027. Tutto bene se non fosse che le donne, come nel caso di Quota 100, sarebbero penalizzate, poiché raramente raggiungono 36 anni di servizio.
Infine, c’è la proposta del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che vorrebbe una pensione tutta contributiva, cioè più bassa, dai 63 anni fino ai 67 e poi integrazione col retributivo. Costerebbe solo 443 milioni nel 2022 e massimo 2,4 miliardi nel 2029.
Quota 41
Tra le alternative sul tavolo, c’è «Quota 41», ora destinata a una fascia precisa di lavoratori. I sindacati e la Lega vorrebbero estenderla a tutti.
Ecco i requisiti attuali, come li ha elencati Leonardo Comegna per il Corriere:
– almeno 12 mesi di contributi versati, derivanti da effettivo lavoro (non valgono volontari e riscatti), anche non continuativi, prima del compimento dei 19 anni di età;
– almeno 41 anni di contributi;
– appartenenza ad una delle 5 categorie tutelate, (disoccupati, invalidi, caregiver (assistenza a familiari disabili), lavori usuranti, lavori gravosi).
Si può, quindi, accedere a questo tipo di pensione anticipata, indipendentemente dall’età, possedendo i tre requisiti su menzionati.
L’Ape “rafforzata”
Come ha scritto Comegna, tra le proposte sul tavolo, quella che sembra avere più «chance» sarebbe l’«Ape sociale rafforzata», che piace a quasi tutti (partiti e sindacati). Si tratta di un’indennità a carico dello Stato erogata dall’Inps, a soggetti in determinate condizioni, che abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non siano già titolari di pensione diretta. Corrisposta fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia, ovvero fino al conseguimento della pensione anticipata o di un trattamento conseguito anticipatamente rispetto all’età per la vecchiaia. La possibilità di andare in pensione a 63 anni e a costo zero con la cosiddetta Ape social potrebbe essere estesa anche ai cosiddetti “«lavoratori fragili a rischio Covid» (lavoratori che senza essere invalidi al 74% soffrono comunque di gravi patologie, come tumori o malattie cardio-vascolari). Ma l’ape sociale potrebbe essere estesa anche a disoccupati di lunga durata o a chi non ha diritto alla Naspi (l’indennità di disoccupazione). Peraltro, per l’ape social riferita ai lavorai gravosi, i sindacati vorrebbero la riduzione da 36 a 30 anni di contributi in modo da far rientrare molte categorie di lavoratori oggi esclusi, come gli addetti all’edilizia, gli agricoli ed i marittimi.