16 Settembre 2024

I sindacati continuano a invocare un allentamento della stretta introdotta dall’ultima legge di bilancio, mentre i ministeri del Lavoro e dell’Economia sono ancora alle prese con l’istruttoria tecnica sulle ultime ipotesi sul tavolo: «proroga secca» dei requisiti 2022 o uscite a 59 anni per tutte le lavoratrici con 35 anni di versamenti, scendendo a 58 per alcune specifiche categorie

Un allentamento della stretta ma per soli 6 o 9 mesi. Con l’estensione della platea per consentire ad almeno 10-13mila lavoratrici, 7-10mila in più di quelle aventi attualmente diritto nel 2023 con le regole restrittive della legge di bilancio, di uscire a 59 anni, aggiunti ai 35 di versamenti richiesti, e magari anche a 58 per alcune specifiche categorie. È questa uno delle ultime ipotesi al vaglio del governo per riconfigurare Opzione donna, insieme a quella della «proroga secca» (ma sempre per una sola parte dell’anno) dei requisiti in vigore nel 2022. Ma la soluzione a quello che è considerato ormai una sorta di rebus infinito resta appesa a risorse ancora da trovare. Una soluzione invocata dai sindacati, che da settimane attendono che il governo mantenga l’impegno preso nelle scorse settimane nei primi due round del tavolo sulla possibile riforma previdenziale. Il ministero del lavoro, guidato da Marina Calderone, da parte sua sembra convinto di poter ufficializzare a breve le modifiche in cantiere. E il ministro conferma che una delle possibili soluzioni è lo stop alla cosiddetta “variabile figli” e all’unificazione della soglia anagrafica per tutte le lavoratrici.

I sindacati in attesa
I sindacati, che considerano i correttivi a Opzione donna una priorità, continuano insomma ad attendere una risposta dall’esecutivo. La ministra Calderone, fin dal varo della manovra, si è impegnata a correggere l’attuale meccanismo che consente l’uscita a 60 anni (insieme a 35 anni di versamenti e il ricalcolo contributivo dell’assegno), con lo sconto di un anno per le lavoratrici con un figlio e di due anni con più figli, solo per alcune categorie, limitando la platea potenziale nel 2023 a 2.900 donne. Una stretta che ha prodotto un significativo restringimento del bacino, visto che dall’ultimo monitoraggio dell’Inps è emerso che lo scorso anno (quando il pensionamento era consentito con 58 anni, 59 per le ”autonome”) le uscite attraverso questo “canale pensionistico” sono state 23.812.

Le ipotesi sul tavolo
La soluzione alla quale ha prioritariamente guardato il ministero del Lavoro è quella della «proroga secca» dei “requisiti 2022”, magari con qualche eccezione. Una proroga non annuale, ma di almeno 6 o 9 mesi. Questa misura non sembra convincere il Mef, che non intende allentare troppo il cordone della borsa. Anche per questo motivo nelle ultime settimane è stata valutata un’altra ipotesi, messa a punto sempre al ministero del Lavoro su input del sottosegretario leghista Claudio Durigon. Questa misura consentirebbe l’uscita con un’età di 59 anni, che scenderebbe a 58 per alcune specifiche categorie, a partire da quelle indicate dall’ultima legge di bilancio: caregiver, lavoratrici con invalidità civile pari o superiore al 74% o ”licenziate”. Anche in questo caso la durata dell’intervento sarebbe di 6 mesi (o 9 se gli spazi di finanza pubblica lo consentissero), in attesa del decollo dal 2004 della prima fase della nuova riforma previdenziale.

Lo scoglio risorse
Questa rimodulazione delle soglie per l’uscita anticipata delle lavoratrici permetterebbe di far salire a quota 13mila (10mila in una versione più restrittiva) la platea delle donne interessate. Il costo sarebbe di circa 90 milioni il primo anno e lieviterebbe poi a 240 e 300 milioni, rispettivamente, nel secondo e nel terzo anno. Ed è proprio questo lo scoglio che deve essere superato al termine dell’istruttoria tecnica in corso ai ministeri del Lavoro e dell’Economia.

Calderone: si lavora allo stop al criterio dei figli
La ministra Calderone conferma che «il ministero ha fatto più proiezioni, le ha già mandate anche al Mef in modo che sia possibile determinare i costi delle eventuali modifiche. Sono in attesa, spero di avere risposte a breve, per fare in modo che alcune parti della norma inserita in manovra possano essere risistemate». E una delle ipotesi alla quale guarda il ministro è quella di eliminare il riferimento ai figli mentre sull’età di uscita “potrebbe essere utile unificarla” per le lavoratrici dipendenti e autonome.

Il possibile decreto ad aprile
Se nei prossimi giorni dovesse essere trovata la quadratura del cerchio, il nuovo restyling di Opzione donna potrebbe essere inserito in un decreto da varare tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. C’è anche chi non esclude che questo intervento possa essere in qualche modo aggregato alle misure in arrivo per riformare il Reddito di cittadinanza, utilizzando magari una piccola fetta dei risparmi realizzabili proprio per finanziare la riconfigurazione di Opzione donna, anche se il ministero del Lavoro non ha mai confermato questa eventualità.

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