23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera


Le pensioni del futuro tra «scalone» e rigidità
Le pensioni (future) continuano a tormentare i sonni degli italiani. La questione ruota attorno al dilemma: come introdurre maggiore flessibilità nella previdenza e devitare «scaloni» e ingiustizie nel regno del contributivo?
La sperimentazione di «Quota 100» (somma di età e contributi) scade nel 2021 (e ha già esaurito la spinta alla pensione: chi doveva andare, senza troppe penalizzazioni, ha già in gran parte lasciato il lavoro (vedi lo studio). Senza nuovi provvedimenti, si tornerà alla rigidità della legge Fornero-Monti.
Ovvero: una lavoratrice o lavoratore che compie 62 anni di età o che matura 38 anni di contributi nel gennaio 2022 dovrà sopportare uno «scalone» di 5 anni e tre mesi con possibilità di accesso alla pensione a 67 anni e 3 mesi di età o con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (un anno in meno per le donne). Quest’ultima opzione scadrà nel 2026 poi, anche in questo caso, si tornerà alla Fornero con una previsione di 43 anni e 6 mesi per i maschi e un anno in meno per le femmine.

La riforma e i giovani in pensione (a 71 anni)
Intanto, è iniziato il regno del contributivo. I giovani di oggi sono i cosiddetti «contributivi puri»; per loro, l’accesso alla pensione è previsto a 64 anni solo a patto di aver maturato un assegno pari a 2,8 il minimo (1.300 euro al mese), una soglia che – considerate le retribuzioni attuali – rischia appunto di escludere una grande fetta di giovani lavoratori, ai quali resterebbe come unica alternativa il pensionamento di vecchiaia a 71 anni (quando la soglia dell’assegno si abbassa a 1,5 volte il trattamento minimo).
La data c’è già: il 2036 Tra 16 anni inizieranno i primi pensionamenti dei lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dal 1° gennaio 1996. Secondo uno studio della Cgil, tra l’altro, i 40enni di oggi con un lavoro saltuario o part time rischiano di andare in pensione non prima dei 73 anni.

Quota 102
Vediamo le e proposte avanzate sul Corriere della Sera da Alberto Brambilla (leggi qui l’articolo completo) per tornare a una maggiore flessibilità in uscita senza mandare all’aria i conti previdenziali.
Come garantire la flessibilità in uscita? Con due modalità. Prima di tutta ripristinando la flessibilità (già prevista dalla riforma Dini/Treu) per tutti i lavoratori, consentendo loro l’accesso alla pensione a 64 anni di età, adeguata alla speranza di vita e 38 anni di contributi (quota 102 adeguata, sostiene Brambilla), con non più di due o tre anni di contribuzione figurativa per premiare il lavoro (qui i particolari).
Nelle schede successive vedremo come funzionerebbe la sostituzione di Quota 100 con Quota 102, che ne potrebbe beneficiare e con quale penalizzazioni.

Il super bonus contributivo per i longevi
Chi vuole potrà lavorare, con il consenso del datore di lavoro se dipendente, fino a 71 anni e tra i 66 e i 71 anni potrebbe scattare il super bonus contributivo (contributi netti in busta paga quindi più 40/50% del reddito netto).

Fondi di solidarietà ed esubero
La seconda modalità di uscita suggerita da Brambilla sul Corriere è rappresentata dai fondi di solidarietà e esubero già sperimentati in modo positivo da banche, assicurazioni, esattorie e poste dal 2000.
In pratica si tratta di applicare le norme dell’Ape sociale e consentire l’accesso al fondo esuberi con 5 anni di anticipo rispetto all’età legale oggi fissata a 67 anni e con 35/36 anni di contribuzione; in pratica una quota 97/98, pagata integralmente da aziende e lavoratori attraverso l’attuale versamento dello 0,30% sui redditi lordi, gestita in autonomia da sindacati e imprese attraverso non più di una decina di fondi (oggi sono oltre 109). A carico dello Stato rimarrebbero i casi più difficili.

Stop alla speranza di vita
Una terza modalità per introdurre la flessibilità previdenziale perduta dalla legge Fornero-Monti è il blocco del meccanismo della speranza di vita. Si potrebbe cioè stoppare l’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per i maschi e un anno in meno per le femmine, eliminando l’adeguamento automatico alla speranza di vita.
Per le donne madri, sulla scorta della Dini si potrebbe prevedere uno sconto di 8 mesi per ogni figlio con un massimo di tre, mentre per i precoci una riduzione di un quarto di anno per ogni anno lavorato prima del compimento dei 20 anni. Certo 62 anni di età per tutti o quota 41 come propone la Lega, sarebbero più favorevoli per i lavoratori ma significherebbe compromettere seriamente il nostro sistema pensionistico.

Quota 100 o Quota 102
Il governo, nel frattempo, ha mostrato di voler lavorare a una riforma dele pensioni (parziale) che porti più flessibilità. La scadenza di Quota 100, ovvero il pensionamento (sperimentale) con 62 anni di età e 38 anni di contributi introdotto dal primo governo Conte, è il 31 dicembre 2021, fine del periodo di sperimentazione triennale.
Cosa succederà a inizio 2022? Il rischio maggiore, come abbiamo visto, sarebbe quello di uno «scalone» che innalzerebbe in maniera troppo repentina l’età per il pensionamento. Per questo motivo, tra le ipotesi al vaglio del governo c’è quella di alzare i requisiti a «Quota 102» e mandare in pensione i lavoratori con un minimo di 64 anni con 38 di contributi. Un piano che costerebbe alle casse dello Stato 2,5 miliardi l’anno fino al 2028 e sarebbe meno gravoso della precedente riforma.

I costi
In pratica dal 2021 si avrebbe un incremento di spesa di circa 2,5 miliardi l’anno fino al 2028 e 1,9 dal 2028 al 2038, dopo di che l’incremento si azzera.
Rispetto a quanto stanziato si risparmierebbero oltre 11 miliardi al 2028 e circa 1 miliardo al 2036.
Ovviamente un grande contributo al risparmio, spiega Brambilla, lo danno i fondi esubero, il super bonus e il recupero sulle pensioni anticipate prodotto dal metodo contributivo che ogni anno ritorna una parte dell’anticipo.

Quaota 102 e il «ricalcolo contributivo»
Chi dovesse scegliere questo nuovo modello di «pensionamento agevolato» a 64 anni di età (adeguata alla speranza di vita) e con 38 anni di contributi, dovrebbe accettare un ricalcolo contributivo della propria pensione. Quello che accade già oggi, per esempio, alle lavoratrici che scelgono di andare in pensione a 58 anni utilizzando Opzione donna.
Il ricalcolo contributivo comporta una riduzione della pensione che può arrivare al 20-30 per cento dell’assegno.

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