Fonte: Corriere della Sera
di Federico Fubini
La tenuta del sistema è garantita da tasse e deficit, necessari a colmare il disavanzo lasciato da contributi insufficienti. Ogni anno, la spesa per le pensioni pubbliche supera i contributi versati di 88 miliardi di euro. Si tratta dello scarto più vasto dell’Unione europea dopo quello dell’Austria
Quella frase l’abbiamo sentita così tante volte che a questo punto la cosa più semplice sarebbe crederci. «Il sistema è in equilibrio», dopotutto, suona bene. Verrebbe voglia di affidarsi a quella certezza, specie se applicata alle pensioni pubbliche in Italia. Resistere alla logica di una verità tanto semplice del resto diventa faticoso, soprattutto quando viene ripetuta da chi ha un accesso diretto alle informazioni e dunque sicuramente sa.
Governo e sindacati
Gli esempi non mancano. Il due febbraio scorso Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, ha assicurato: «Il sistema previdenziale italiano è sostenibile nel lungo periodo ed è in equilibrio». Il 15 febbraio lo stesso Poletti si è spinto un passo più in là: «Il settore previdenziale è in attivo». In estate ha ripetuto quasi esattamente le stesse parole Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil: «Il sistema è in equilibrio, il problema semmai è l’evasione». Se questa è la realtà, era prevedibile che la tentazione della generosità si facesse largo al cuore della maggioranza. Ecco l’11 ottobre Cesare Damiano, deputato del Pd, presidente della commissione Lavoro alla Camera, già predecessore di Poletti: «Il tema previdenziale deve entrare nella manovra» perché «va spostata a giugno 2018 la decisione circa l’innalzamento dell’età previdenziale».
L’equilibrio del sistema
Più che discutere se una (anche limitata) contro-riforma delle pensioni abbia senso, sarebbe però il caso di chiedersi se il presupposto è vero. Il sistema è davvero «in equilibrio»? Una risposta viene da un documento del quale il governo italiano è co-autore: «Il rapporto sull’invecchiamento» che la Commissione Ue pubblica a intervalli regolari; l’ultimo, del 2015, copre i costi delle pensioni e le proiezioni dal 2013 al 2060. Il ministero dell’Economia di Roma lo ha sottoscritto partecipando al gruppo di lavoro ad hoc. Ecco l’«equilibrio» del sistema pensionistico in Italia che emerge da quel rapporto: ogni anno, la spesa per le pensioni pubbliche supera i contributi versati di 88 miliardi di euro. Si tratta dello scarto più vasto dell’Unione europea dopo quello dell’Austria, come mostra il grafico in pagina. La differenza fra quanto lo Stato riceve in contributi previdenziali e quanto versa in pensioni viene colmata grazie alle tasse e al deficit pubblico. In altri termini, se l’Italia fosse allineata alle medie europee il bilancio pubblico sarebbe in attivo e il debito in calo da anni. I tassi d’interesse per le imprese sarebbero più bassi e probabilmente il Paese non sarebbe stato travolto dalla crisi del debito.
Le stime europee
È possibile che i politici in Italia vedano un «equilibrio» scomputando le pensioni d’invalidità e le tasse sul reddito dei pensionati. Ma le stime europee, che mostrano un ritardo enorme per l’Italia, sono trattate in modo omogeneo per tutti i Paesi. È anche possibile che la promessa di «equilibrio» si riferisca al futuro e anche su questo il rapporto della Commissione Ue contiene informazioni. L’Italia oggi è il Paese dove le pensioni costano di più in Europa (15,7% del reddito nazionale), è fra quelli dove nei fatti si va in pensione prima (62,4 anni) ma è fra quelli che segnano il maggiore calo di spesa entro il 2060 (meno 1,9%). Neanche a quel punto però il sistema sarebbe «in equilibrio»: dopo la riforma Fornero oggi in vigore, lo scarto fra contributi versati e pensioni da pagare nel 2060 sarebbe pari al 3,2% del reddito nazionale, 54 miliardi di euro attuali.
«Fake news»
L’ammanco contributivo potrebbe però diventare più grande di così, perché le proiezioni adottate a Bruxelles purtroppo potrebbero rivelarsi ottimistiche per l’Italia: prevedono che ogni donna passi dal partorire in media 1,43 figli a 1,61 (ma dal 2013 il tasso di fertilità è sceso a 1,34); e immagina che l’immigrazione contribuisca a un aumento di popolazione da 60,3 milioni di abitanti nel 2013 a 67 milioni nel 2040 (ma da due anni il numero di residenti in Italia è in calo). Se questo è equilibrio, non c’è bisogno di troll russi. A mettere in circolazione fake news in Italia ci pensa chi dovrebbe governarla.