Il quadro tendenziale che il governo sta ultimando indicherà una crescita di quasi 2 punti inferiore alla stima del Def
Il doppio allarme lanciato da Fitch, che per il Pil italiano del 2023 prevede una contrazione dello 0,7%, ha stupito più di un osservatore perché gronda di un pessimismo molto più intenso di quello nutrito dal consenso degli analisti. Ma anche la Nadef che il governo sta per ultimare disegna un quadro decisamente peggiore rispetto a quello indicato pochi mesi fa dal Documento di economia e finanza (Def). «Chiaramente c’è un rallentamento, ma ancora non credo si possano intravedere i sintomi di una recessione», ha sostenuto il premier Draghi.
La stima della Nadef
Tradotto in cifre significa che la Nadef, cioè il documento che fissa la cornice ufficiale su cui andrà costruita la manovra, stimerà per l’anno prossimo una crescita nettamente inferiore all’1%, dopo un 2022 che si dovrebbe chiudere poco sopra il 3% con un terzo trimestre meno brillante delle ipotesi estive e un quarto che secondo molti analisti potrebbe chiudersi in negativo. I decimali sono ancora in fase di limatura. Ma l’indicatore si fermerà fra gli 1,5 e i 2 punti sotto il 2,4 % indicato dal Def. Quindi?
Il percorso del nuovo Governo
Quindi il sentiero su cui il governo figlio delle elezioni del 25 settembre dovrà costruire la legge di bilancio si fa decisamente più stretto e in salita. Chiamato com’è a mantenere un’ulteriore discesa del debito, anche se piccola, viste le tensioni crescenti sui mercati. Quasi due punti di crescita in meno producono in modo “automatico” un aumento di deficit intorno ai 20 miliardi, cioè l’1% abbondante di Pil.
Anche perché il conto deve considerare un aumento della spesa per interessi, con i BTp a 10 anni che ai tempi del Def rendevano poco più del 2% e ora viaggiano stabilmente intorno al 4%. Già il Def di aprile aveva alzato da 52,6 a 61,9 miliardi il costo del debito nel 2023. Ma ora il conto va aggiornato al rialzo, con un effetto che cresce negli anni successivi.
I conti da fare con le pensioni
La Nadef solo tendenziale, che registra la dinamica a legislazione vigente, dovrà poi tenere conto dei costi della rivalutazione delle pensioni: sono 8-10 miliardi più del previsto, un altro 0,4-0,5% di Pil. In quest’ottica, il deficit di partenza che secondo il programma di aprile sarebbe diminuito dal 5,6% di quest’anno al 3,9% risalirebbe anche l’anno prossimo sopra quota 5%. Riducendo appunto di una ventina abbondante di miliardi gli spazi di partenza della manovra.
L’inflazione abbassa il peso del debito pubblico
L’inflazione che travolge i conti di imprese e famiglie aiuta anche ad abbassare il peso del debito, portandolo quest’anno sotto il 147% del Pil previsto ad aprile. E darà una mano anche nel 2023, Ma, secondo tutti gli analisti, meno rispetto a oggi. Il Def stimava per il 2023 un tasso del 2,1%, ora le previsioni oscillano sopra il 4%, contro l’8,4% annuo maturato ad agosto.
La spinta del carovita alle entrate fiscali continuerà, ma sarà meno intensa rispetto a quest’anno, quando ha offerto larghissima parte dei 66 miliardi degli 8 decreti approvati fin qui anche perché accompagnata da una crescita che ora va a spegnersi.
La manovra alle prese con i bonus
Tutto questo rende assai accidentata la base di una manovra che si troverà di fronte anche un muro di spese quasi obbligate: perché è difficile ipotizzare di spegnere di colpo gli aiuti fiscali per gli acquisti di energia delle imprese (quelli approvati venerdì costano 4,7 miliardi al mese), azzerare il bonus sociale e l’abbattimento degli oneri di sistema (circa 4 miliardi a trimestre), o ridurre il potere d’acquisto degli stipendi non replicando i tagli al cuneo fiscale introdotti dal governo Draghi (3,5 miliardi su base annua).
La crisi che riduce gli spazi di finanza pubblica aumenta anche l’esigenza di interventi facendo crescere il conto di quell’ipoteca stimata da questo giornale in 25 miliardi poco più di un mese fa: sarà su queste cifre la prima, vera prova di chi vincerà le elezioni fra 7 giorni.