20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Maria Fedeli Meli

Ai fedelissimi ha spiegato: «Questa vicenda stucchevole è chiusa, adesso occupiamoci di cose serie, di contenuti, perché è su quel terreno che battiamo i grillini».


In una Montecitorio che si prepara al tradizionale weekend lungo dei deputati, raccontano che tra mercoledì sera e ieri mattina un fronte compatto, che va dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Dario Franceschini, passando per Andrea Orlando, Piero Grasso e Angelino Alfano, abbia frenato lo stato maggiore del Partito democratico. «La Prima Repubblica ci ha fermato come ci ha fermato anche in Commissione sulla riforma elettorale», commenta amaro un alto dirigente del Pd molto vicino all’ex segretario Matteo Renzi. Il fronte contrario alla crisi ha lanciato un messaggio ben preciso ai dirigenti del Partito democratico che ieri avevano sollevato la questione del voto in commissione Affari Costituzionali del Senato: un’eventuale crisi, senza la riforma della legge elettorale sollecitata dal capo dello Stato, non porterebbe alle elezioni anticipate, bensì a un governo tecnico.
E in favore della stabilità ieri è sceso in campo anche Paolo Gentiloni, che da Firenze ha mandato a dire al suo partito: «In questo momento così delicato per il nostro Paese e per il mondo, la richiesta che viene dai cittadini alle istituzioni è quella di essere rassicuranti». Ma la partita, in realtà, non è affatto chiusa. I renziani fanno sapere di essere «capaci di giocare» anche loro. Come? Con i grillini, mettendo le preferenze al posto dei capolista bloccati, così Forza Italia e Mdp sono spiazzati («e rovinati», aggiungono). Sennò, spiegano, si vota con la legge che c’è e un decreto del governo che inserisca la preferenza di genere al Senato, aumenti i collegi sempre a Palazzo Madama e regoli i «sorteggi». E infatti non scendono del tutto le quotazioni del voto anticipato. Ora si parla di ottobre. Il primo o l’8.
Renzi, però, ragiona d’altro. Reduce da Napoli, dopo un incontro nel rione Sanità con una cooperativa di giovani che cercano di riqualificare il quartiere, parcheggia il trolley, incontra a pranzo alcuni deputati e senatori siciliani, accompagnato dai fidi Luca Lotti e Lorenzo Guerini, poi riunisce i parlamentari della sua mozione. E a fine assemblea spiega ai fedelissimi: «Questa vicenda stucchevole è chiusa, adesso occupiamoci di cose serie, di contenuti, perché è su quel terreno che battiamo i grillini». Già, perché, come ha detto anche nella riunione dei parlamentari, «se non vinciamo noi è un casino». E in questo senso l’ex segretario del Pd non dispera. Gli ultimi sondaggi della Swg, che la settimana scorsa davano il Movimento Cinque Stelle in testa, registrano il sorpasso del Partito democratico: il Pd è al 28,5 per cento, mentre i grillini si attestano al 27,9. «Non dobbiamo seguirli negli insulti: la gente ci premia se parliamo di contenuti», spiega l’ex premier.
Renzi considera quindi chiuso il «caso Torrisi», benché giudichi «grave» e non privo di «conseguenze» ciò che è accaduto: «Adesso non si potrà più usare il Pd come alibi. Abbiamo rimesso la palla nel campo del fronte del No, vediamo di che cosa sono capaci. La verità è che dal 4 dicembre c’è il forte rischio che questo Parlamento si impantani», dice l’ex presidente del Consiglio ai collaboratori. Sì, perché la vicenda non avrà strascichi sul governo, assicura Renzi, ma comunque peserà sulla situazione politica. Come spiega a un amico Lorenzo Guerini. «Il vulnus resta ed è grave. È una pietra di inciampo sulla legge elettorale. Noi abbiamo dimostrato tutto il nostro senso di responsabilità, ora tocca agli altri. Il fronte del No vuole una legge proporzionale con soglie di sbarramento basse o praticamente inesistenti? Facciano una proposta». Una proposta che, naturalmente, il Partito democratico non potrà appoggiare. E che infatti non appoggerà, forte del fatto che la Camera non è il Senato. A Montecitorio i numeri sono diversi. E lì una legge di impianto proporzionale, assicurano i renziani, «non passerà mai e poi mai».

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