Aiutare i ragazzi significa investire sul futuro del Paese. La scelta migliore potrebbe essere sviluppare il modello campus e aiutare i giovani a rendersi autonomi
Ascoltare seriamente la protesta studentesca contro il caro affitti è nell’interesse del Paese. Le studentesse e gli studenti chiedono infatti di andare all’università che hanno scelto, e dove sono stati ammessi, vivendola pienamente. Non più un’università fatta solo di lezioni ex cathedra, libri da studiare ed esami (che potrebbe essere «frequentata» on line ovunque vi sia una buona connessione), ma una comunità di crescita, studio e ricerca, che si basa su uno scambio continuo di esperienze e stimoli. Le tende non desiderano un campeggio, ma un campus, dove la didattica è interattiva con laboratori e lavori di gruppo, dove gli studenti partecipano ad associazioni di vario tipo, svolgono attività sportive, e costruiscono reti di relazioni forti che permarranno per tutta la vita. È una richiesta matura e pacifica, alla quale è nostro dovere rispondere, trasformandola in opportunità. Progettiamo in modo deciso una transizione verso un sistema che preveda senza ipocrisia una pluralità di università, tra cui le università campus, atenei orientati alla ricerca vissuti a tempo pieno anche dagli studenti, selezionati all’ingresso. Le migliori del mondo sono indiscutibilmente università campus, spesso collocate nelle aree metropolitane più innovative, da Boston a San Francisco, da Londra a Zurigo, da Chicago ad Amsterdam. Ma anche in città più piccole e tipicamente universitarie come Oxford, Cambridge o Princeton.
Come cogliere l’opportunità, partendo dalle proteste per prendere una direzione virtuosa? Per i campus, nel lungo periodo è essenziale la costruzione di un numero molto più grande di residenze studentesche, raggiungibili dalle sedi universitarie idealmente a piedi e in sicurezza (preoccupazione più che lecita, spesso sollevata da studentesse e studenti). Occorre poi stimolare la riconversione di uffici e abitazioni sfitte in alloggi per studenti. Gli investimenti connessi con il Pnrr e messi a terra dalla ministra Bernini vanno nella direzione giusta, ma andranno potenziati con obiettivi ambiziosi di lungo periodo, che mirino per le università campus alla residenza di tutti gli studenti nei pressi dell’ateneo. I campus attrarrebbero anche migliori docenti e ricercatori, invertendo la fuga dei cervelli.
Dobbiamo inoltre dare più autonomia agli studenti, permettendo ai meritevoli di «andare» all’università, ovunque essa sia collocata. Per questo occorre superare l’ossessione di vincolare il sostegno agli studenti delle università campus alla situazione o al luogo di residenza della famiglia di origine, penalizzando soprattutto gli studenti provenienti dalle classi sociali medie. Altri Paesi, tipicamente nel Nord Europa, sostengono gli studenti (e non i loro genitori) con assegni universali che vanno direttamente agli universitari in regola con gli studi, non condizionati alla destinazione d’uso, purché gli studenti non vivano con i genitori. Esistono diverse soluzioni tecniche, da quelle più costose della Danimarca a quelle miste a prestiti garantiti dei Paesi Bassi. Servirebbe ovviamente un investimento importante da parte della finanza pubblica, da connettere a obiettivi di aumento della quota di laureati (troppo bassa in Italia) e della competitività del sistema universitario (sia interna che internazionale). Una maggiore autonomia degli universitari sarebbe poi fondamentale per un Paese che è leader nella lunghezza della transizione dei giovani allo stato adulto, con un’età media di uscita dalla famiglia di origine che supera i 30 anni, contro i 21-22 dei Paesi nordici e i 23-24 della Germania. Nel lungo periodo contribuirebbe a diminuire il costo dei figli: da noi la natalità, come sappiamo, declina da decenni.
È poi necessario rispondere anche nel breve periodo all’esigenza di abitazioni accessibili agli studenti e ai giovani lavoratori. Su questo fronte dobbiamo essere innovativi, partendo da esperienze che già esistono di partnership tra terzo settore, pubblico e privato. Si tratta di creare una maggiore offerta sfruttando alcuni aspetti del cambiamento demografico: l’invecchiamento della popolazione e i cambiamenti familiari lasciano infatti talora abitazioni sottoutilizzate proprio nelle grandi città. Incoraggiare la condivisione di stanze tra generazioni sarebbe una direzione virtuosa, e con poche alternative per l’immediato.
Creiamo anche in Italia modelli di veri campus universitario: i ragazzi che hanno piantato le tende davanti alle loro università stanno chiedendo questo. Non solo uno sconto sull’affitto, ma un investimento per il futuro del Paese, perché «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Ecco una riforma su cui lavorare tutti insieme: far sì che il «raggiungere» dei padri costituenti divenga una realtà, mirando in alto.