L’attenzione alle vicende della politica ormai ha superato le frontiere nazionali. Assetti funzionali da rivedere
In Europa, nell’arco dei passati dodici anni, si sono manifestate e consolidate due significative trasformazioni. Hanno una genesi indipendente e sono diverse, ma ora si intrecciano e stimolano reciprocamente. La prima ha una natura più spontanea: progressivamente, nell’Unione europea, l’attenzione alle vicende della politica ha superato le frontiere nazionali. La seconda, in apparenza è tecnica: la presa di coscienza che gli assetti funzionali Ue debbano essere rivisti, in non pochi gangli e anche radicalmente.
L’integrazione europea scorre su un chiaro binario: l’adesione ai valori di libertà e democrazia e la condivisione fra gli Stati membri di segmenti crescenti della loro sovranità. Per portare avanti le iniziative comuni, si sono create apposite procedure e istituzioni. A un esame sbrigativo, il quadro assomiglia alle classiche strutture che conosciamo. Ma a ben vedere, se ne discosta in alcuni importanti connotati, i più rilevanti dei quali sono: il permanere di un peso preponderante dei vari governi degli Stati, attraverso Consiglio d’Europa e Consiglio europeo; il ruolo peculiare della Commissione; l’incompleta potestà di Parlamento europeo, Banca centrale (Bce) e Corte di giustizia.
Una rapida esemplificazione aiuta a capire. Nel sistema Ue, occorre l’approvazione del Consiglio sia per la nuova legislazione vincolante per i Paesi aderenti, sia per decisioni cruciali (come, su affari esteri e difesa). Il Consiglio agisce votando nel modo prescritto dai Trattati Ue per ciascuna materia: all’unanimità o con maggioranza qualificata. Nella primo caso, ogni governo nazionale ha una sorta di veto; nell’altro no, ma non è difficile aggregare una minoranza di blocco. Dunque, se le divergenze fra gli Stati — frequenti sui temi complicati — ostacolano l’assenso, l’Unione si ferma. Inoltre, le proposte normative Ue possono venire solo dalla Commissione e non esiste l’iniziativa parlamentare, per strano che sembri. D’altronde, il Parlamento europeo non ha piena parità di legislatore con il Consiglio nei comparti reputati prioritari dagli Stati (scelte chiave del bilancio Ue, tasse, difesa…). Infine, l’azione della Bce soggiace a limiti, inusuali per le banche centrali, che la obbligano nei frangenti delicati a ideare vie d’uscita suscettibili di essere confutate nella loro legittimità. Su questo, in ultima analisi, deve pronunciarsi la Corte di giustizia, la quale ha giurisdizione per le vertenze Ue, salvo — ulteriore peculiarità — per quelle di politica estera e difesa.
La realtà operativa dell’Unione, la sua velocità e incisività, sono condizionate da tali meccanismi complessi, spesso inadeguati di fronte alle ripetute, gravi sfide che scuotono il mondo (equilibri globali fibrillanti, crisi finanziarie, pandemia, guerra). Il fulcro deliberativo Ue è nelle mani degli Stati membri e pertanto, la condotta di chi li governa è determinante. Del resto, quotidianamente, vediamo quanto economia e scambi commerciali siano interdipendenti nel grande mercato Ue e quindi, anche le prospettive di lavoro e benessere. Ne discende che il dibattito politico e l’esito delle elezioni in un paese Ue differente dal proprio riguardano direttamente e coinvolgono tutti gli altri.
Per questi motivi, l’attuale fase elettorale in Italia è accompagnata da numerose prese di posizione in Europa. È cambiata la percezione dell’opinione pubblica e dei governi. Nell’ambito dell’odierna Unione, la densa, penetrante comunanza d’interessi tangibili e l’ordinamento giuridico capillare che ci lega tramutano in naturale reazione fra compartecipi della medesima entità ciò che un tempo qualificavamo interferenza estera o straniera. Succede lo stesso per altri Stati Ue in occasioni analoghe. Infatti, la vecchia dimensione statale si è inserita e diluita in quella europea, benché ci si trovi a convivere in una sinergia per nulla ottimale, necessariamente da migliorare e a rigore, da ridefinire.
Non c’è dubbio che sia nata una vera arena politica paneuropea. Non quella meramente propositiva dello 0,15% di europei che ha preso parte alla formale Conferenza sul futuro dell’Europa. Piuttosto quella già visibile e concreta nel cui perimetro i cittadini si confrontano con chi cerca i loro voti e i partiti competono o si sostengono, esponendo progetti e critiche. Come sempre, le dinamiche e la veemenza sono spinte dalle circostanze e dalla posta in gioco. Un fenomeno che non è più ristretto alle elezioni del Parlamento europeo, ma è diventato stabile, continuo e pervasivo. Ormai, sono d’uso corrente: l’attiva propaganda a favore degli alleati, il supporto e il gioco di squadra nelle sedi decisionali Ue ovvero, al contrario, le diffide e gli attacchi agli avversari, fino a un metodico boicottaggio.
È il lato ruvido della democrazia: non deve stupire e chi si candida a governare non può ignorarlo. Semmai, bisogna seriamente riflettere sulle possibili asimmetrie del suo impatto nel contesto specifico dell’Unione, dati i limiti che ne derivano per la sovranità degli Stati. Al riguardo, uno snodo primario restano le carenze dell’architettura istituzionale Ue: non è una federazione, né una confederazione; bensì un soggetto sui generis, ostico da spiegare, con pesi e contrappesi non impeccabili. Ne consegue l’urgenza di una riforma dei Trattati Ue, a cui sembra aprire l’ultimo discorso della presidente della Commissione. Questa volta, però, è essenziale che abbia al centro la scelta, troppo a lungo rinviata, di una nitida, comprensibile ed efficiente forma costituzionale compiuta per l’Unione, da sottoporre poi a un referendum di approvazione.