Fonte: Corriere della Sera
di Dario Di Vico
I Cinque stelle erodono consensi non solo al centro-sinistra (operai e insegnanti) ma pure al centro-destra, tra artigiani, commercianti e piccoli imprenditori
La stabilizzazione dei consensi del Movimento 5 Stelle sta giustamente attirando l’attenzione di quanti non solo studiano i flussi elettorali ma cercano anche di decifrare le relazioni tra il mutamento della stratificazione sociale e il consenso politico. E i numeri elaborati dalla Ipsos di Nando Pagnoncelli mese dopo mese su un campione di 6 mila persone sono significativi. Prendiamo i lavoratori autonomi: alla fine del 2016 i grillini raggiungevano addirittura il 39,3% dei favori distanziando di 20 punti secchi il Pd e lasciando le briciole al vecchio forzaleghismo. La Lega di Matteo Salvini si ferma al 17,7% e il partito di Silvio Berlusconi è ancora più distanziato (10%). E’ chiaro che in questo momento Beppe Grillo calamita su di sé molti consensi popolari e persino tra gli operai lascia 20 punti dietro il Pd. Anche nella costituency degli insegnanti e degli impiegati, tradizionalmente orientata verso il centro-sinistra, i Cinquestelle superano il partito del segretario Renzi: 34,1% contro 30,1%. L’unico segmento nel quale il Pd riesce a superare i grillini è quello rappresentato dalle «professioni elevate»: 31,6% contro 28,2%.
Che sta succedendo dunque? A questa domanda in molti cominciano a rispondere che si è spostato l’orientamento della «pancia del Paese» ovvero che Grillo ha trovato la chiave per parlare all’Italia profonda lucrando innanzitutto sulle amnesie e le divisioni del centro-destra che durante la Seconda Repubblica aveva assicurato una buona rappresentanza politica ad artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e aveva addirittura portato al governo le loro istanze di riduzione delle tasse e di lotta alla burocrazia. Dal canto suo storicamente la sinistra si è sempre approcciata agli strati intermedi con una forma di snobismo, tanto che gli intellettuali avevano a un certo punto inventato l’espressione «ceti medi riflessivi» proprio per contrapporla ai ceti medi mercantili, e solo per una breve fase Matteo Renzi è riuscito a ridurre le distanze. Ma nel frattempo la Grande Crisi ha lavorato come la famosa talpa ed ha scavato un solco tra le rappresentanze tradizionali e l’intero ceto medio. Non bisogna dimenticare che se la base manifatturiera del Paese si è contratta grosso modo del 25% il costo lo hanno pagato soprattutto le Pmi, una spina dorsale che sotto i colpi si è curvata. Basta vedere i centri storici delle città di provincia per constatare quante attività hanno chiuso i battenti e anche nei distretti artigianali non è andata molto meglio.
Se ci sono almeno un centinaio di prodotti — dalle mollette per i panni agli ombrelli — che oggi vengono fabbricati quasi esclusivamente dai cinesi basta ricordare che qualcuno prima li produceva e oggi non riesce più. Si chiede loro giustamente di innovare ma non è facile e tutto sommato in pochi riescono a farlo elevando la qualità del prodotto e le modalità della vendita. Ma, cosa ancora più grave, la selezione darwiniana non sembra finire mai, c’è ancora un grosso pezzo della piccola manifattura italiana e del commercio al dettaglio che si sente in bilico. Teme di scivolare ancora più in basso e si sente escluso, dimenticato. Se cerchiamo di interpretare e delimitare questi strati sociali con le categorie di una volta («alla Sylos Labini» chiosa Pagnoncelli) non ne veniamo fuori, perdiamo di vista che il centro della società italiana sta diventando un magma di risentimento e rancore che tiene assieme cose assai diverse tra loro. Una volta la Classe Operaia, i Commercianti e gli Insegnanti erano tre mondi differenti, oggi almeno nei contesti territoriali finiscono per assomigliarsi, vivono almeno in parte analoghi sentimenti di frustrazione. Hanno perso l’orgoglio del proprio lavoro manuale o intellettuale che fosse e questa sottrazione li rende più uguali tra loro e distanti dalle elite metropolitane.
La grande novità però è che la Pancia del Paese, le partite Iva, traslocando dal forzaleghismo ai Cinque stelle non hanno semplicemente cambiato preferenze politiche ma hanno subito una sorta di trasformazione antropologica. Ai tempi di Umberto Bossi i lavoratori autonomi avevano un loro programma politico orientato al fare, ai valori della competizione e alla riduzione dell’intervento statale, erano la traduzione in dialetto degli animal spirits. Oggi invece quelle istanze e quei valori vengono progressivamente meno. Passano a Grillo perché lo vedono come l’ultima spiaggia, l’onestà contrapposta all’affarismo, ma in questo trasloco abbandonano anche qualsiasi idea ottimistica dell’economia e della politica. Siamo solo all’inizio, le identità sociali sono più mobili che in passato, quindi niente è consolidato è tutto va monitorato. Attenzione però nei prossimi mesi a non discutere solo di sistemi elettorali, c’è anche un’Italia profonda da curare.