23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Gaggi

La parola a James Clapper, per decenni ai vertici dei servizi Usa. Per decenni anima oscura e silenziosa dello spionaggio, è diventato un implacabile accusatore di Trump


Adesso che è stato arrestato, tutti si chiedono se Manafort, rischiando anni di galera per riciclaggio ed evasione fiscale, metterà sotto accusa il presidente da lui aiutato ad arrivare alla Casa Bianca. Trump disinnescherà la mina concedendogli il perdono presidenziale? E, se lo farà, questo significherà solo il trasferimento del detenuto Manafort da un carcere federale a uno dello Stato di New York? La Casa Bianca, infatti, può perdonare solo i reati federali, non quelli statali. Mentre l’ex capo della campagna elettorale di Trump è stato incriminato anche a New York.
Ma per capire la gravità del Russiagate, la scossa che ha dato alle principali istituzioni americane facendole vibrare fin nelle fondamenta, più ancora che osservare il volto di Manafort che va a consegnarsi o quello di George Papadopoulous, il consigliere di politica estera della campagna di Trump che ha ammesso di aver mentito all’Fbi sui suoi contatti con emissari russi con legami al Cremlino, bisogna osservare i lineamenti glaciali di un oracolo cupo: James Clapper, l’ex capo della National Intelligence, la sala comando dei servizi segreti federali.

L’accusatore
Per decenni anima oscura e silenziosa dello spionaggio, incarnazione del deep state, il cuore del sistema americano, da alcuni mesi Clapper fa una cosa per lui innaturale: parla coi giornalisti. Ed è anche divenuto una presenza abituale negli studi della Cnn. Non solo: questo personaggio di estrazione militare (30 anni nella US Air Force prima di passare ai servizi segreti civili) che di certo non era un progressista e venne messo sotto accusa dai democratici quando Edward Snowden rivelò l’estensione dello spionaggio telefonico e di Internet condotto dalla Nsa, ora è divenuto un implacabile accusatore di Trump.
Nelle stesse ore in cui sono stati eseguiti i primi arresti nell’ambito dell’inchiesta di Robert Mueller sul Russiagate, Clapper, intervistato dal sito Politico.com, ha detto che la vicenda delle infiltrazioni russe nelle presidenziali del novembre scorso «ha implicazioni più gravi di quelle del Watergate perché stavolta a muoversi è un avversario straniero che interferisce in modo diretto, aggressivo, nel nostro processo politico mirando chiaramente a minare il sistema democratico Usa». Mentre lo scandalo che nel 1974 costrinse alle dimissioni il presidente Nixon «fu un imbroglio politico tutto interno al Paese».

L’attacco alle reti sociali
Colpisce soprattutto l’ammissione che i servizi segreti più potenti del mondo non avevano capito, fino a qualche mese fa, la profondità, la ramificazione e la raffinata logica dell’infiltrazione russa nelle reti sociali americane: «Sapevamo che usavano i social media ma ci sfuggiva quanto sofisticata fosse la loro azione, basata su pubblicità indirizzata a gruppi mirati di utenti e sull’azione di falsi gruppi di attivisti americani a sostegno di cause di segno opposto, da Black Lives Matter alle campagne contro gli immigrati». Manovre che, secondo Clapper, non solo hanno influenzato il voto di un anno fa ma hanno «avuto pieno successo nell’accelerare la polarizzazione e le divisioni nella politica americana».

«Ha vinto Putin»
Da quando ha lasciato i servizi segreti, Clapper è finito nel mirino di Trump che gli ha dato anche del nazista e l’ha accusato di averlo spiato fin dentro la Trump Tower (accusa rivelatasi infondata). Per nulla intimorito e rompendo con le abitudini di una vita vissuta nel riserbo, Clapper ha spiegato che ha deciso di uscire allo scoperto davanti a una situazione che giudica pericolosissima per la democrazia e la sicurezza dell’America, aggravata dall’assenza di reazioni della Casa Bianca: «Li abbiamo informati subito dopo l’elezione di Trump, ma il presidente ha minimizzato, ha detto che il Russiagate è una presa in giro, una caccia alle streghe. Putin fin qui ha vinto. E ora si sente incoraggiato a continuare. Tanto più che il presidente, mentre attacca l’accordo atomico con l’Iran, nonostante Teheran lo abbia rispettato, ignora le più gravi violazione russe del Trattato sulle armi nucleari di medio raggio».
Clapper termometro della volontà del «deep state» di andare fino in fondo contro Trump? Probabilmente sì, anche se lui non considera un toccasana un eventuale impeachment: «Farebbe esplodere ancora di più polarizzazioni e divisioni, alimenterebbe la teoria delle cospirazioni. Non sono sicuro che la rimozione del presidente sarebbe una buona cosa».

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