Fonte: Corriere della Sera
di Sabino Cassese
Al centro della modifica della nostra legge fondamentale vi sono due parti: riduzione di dimensioni e poteri del Senato; e la sua trasformazione in organo di rappresentanza di Regioni e Comuni. Ma il sistema parlamentare non cambierà
La riforma costituzionale, approvata due volte dalle due camere a maggioranza assoluta, che sarà sottoposta in autunno a referendum confermativo, si sta caricando, nel dibattito animato in svolgimento, di significati e valenze ulteriori. Sarà bene, quindi, esaminare spassionatamente che cosa prevede la riforma e perché.
Al suo centro vi sono due parti: riduzione di dimensioni e poteri del Senato; sua trasformazione in organo di rappresentanza di regioni e comuni. C’è allora da chiedersi perché abbandonare il bicameralismo perfetto o paritario e perché ridisegnare poteri e ruolo delle regioni.
Perché lasciare alle nostre spalle un sistema parlamentare binario, che secondo molti serve per rendere più riflessiva la funzione parlamentare, per correggere gli errori che una sola camera può fare? Una ragione c’è. Quando fu approvata la Costituzione, il popolo votava soltanto per il Parlamento nazionale. Nel 1970 fu chiamato a votare anche per i consigli regionali. Nel 1979 fu chiamato a votare anche per il Parlamento europeo. Questi corpi concorrono con il Parlamento nazionale alla formazione delle norme. Svolgono con efficacia la funzione di contrappeso. Si aggiunge a questi il controllo della Corte costituzionale, organo di bilanciamento per eccellenza, in funzione dal 1956. Quindi, il compito originario del Senato — che questo comunque ha svolto molto poco, limitandosi ad essere un doppione o un fattore di ritardo — si è esaurito.
Perché ridefinire compiti e ruolo delle regioni, ciò che secondo alcuni costituisce un riaccentramento di poteri? Anche qui vedo una ragione. Da un lato, infatti, le regioni, con la riforma del 2001, avevano visto ampliate le proprie funzioni in aree di interesse nazionale, costringendo la Corte costituzionale a una minuziosa attività di ridefinizione di ciò che è locale e di ciò che è nazionale. Dall’altro, le regioni, attori importanti dello scacchiere pubblico, erano ferme al livello amministrativo. La riforma costituzionale riconosce l’opera quindicennale della Corte costituzionale e affida allo Stato temi come il commercio estero, le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. Viene ora, quindi, operato un ragionevole riequilibrio, dando rilevanza costituzionale alla rappresentanza regionale e locale, e alla funzione di raccordo tra i diversi livelli di governo, nonché riconoscendo — solo per fare un esempio — che il diritto alla salute è eguale per tutti i cittadini: va quindi concretamente assicurato nello stesso modo su tutto il territorio nazionale. Se, in futuro, le regioni avranno l’intelligenza di portare al Senato più voci della società civile e dei corpi intermedi, ne trarremo un beneficio ulteriore.
Restano due interrogativi: non stiamo modificando troppo spesso la carta costituzionale? Il ridisegno del Senato e delle regioni può incidere sulla forma di governo parlamentare? Si tratta di preoccupazioni importanti, che vanno considerate, perché il patriottismo costituzionale è una importante parte della storia repubblicana e perché un cambiamento del sistema parlamentare non può essere compiuto per vie traverse. La prima preoccupazione non ha ragion d’essere. La costituzione tedesca, che ha la stessa età della nostra, è stata modificata un numero di volte quasi quadruplo rispetto a quella italiana, e su punti più rilevanti di quelli toccati dalle nostre 15 modificazioni in 70 anni di vita della Repubblica. La circostanza che il governo avrà la fiducia della sola Camera dei deputati non modifica il sistema parlamentare, evita soltanto la stanca e inutile ripetizione della procedura di votazione della investitura parlamentare al governo in due assemblee con analoghe maggioranze (o la paralisi del sistema quando le maggioranze divergono). Insomma, per quanto i toni si stiano alzando, l’assetto costituzionale che esce dalla riforma si iscrive nella nostra tradizione repubblicana e le fa fare un passo avanti, consolidandola.