Fonte: Sole 24 ore
di Andrea Franceschi
Dietro l’exploit dei titoli italiani ci sono due fattori: la minor percezione del TT politico e il contesto generale di mercato creatosi con l’emergenza Coronavirus che ha giocato a favore di tutto il reddito fisso
I venti di crisi che stanno scuotendo la maggioranza di governo hanno offerto il pretesto agli investitori per vendere i BTp e ciò spiega la risalita dello spread BTp-Bund di oggi. Si tratta per lo più di prese di profitto che non sembrano più di tanto scalfire il rally messo a segno nelle ultime settimane dal debito italiano. Un movimento che ha avuto il suo culmine ieri quando il differenziale è sceso fino a quota 125 punti (minimo dal 7 maggio 2018). Che il mercato in questa fase abbia fame di BTp lo dimostra poi l’exploit del BTp a 15 anni che al collocamento di sindacato di martedì ha fatto registrare una richiesta pari a oltre 5 volte l’ammontare collocato. O anche il boom di domanda alle aste di BTp a 3 e 7 anni di ieri che ha visto il Tesoro tornare a rifinanziarsi a rendimenti negativi sulla scadenza triennale come non accadeva dallo settembre.
Dietro l’exploit dei titoli italiani ci sono due fattori: la minor percezione del rischio politico e il contesto generale di mercato creatosi con l’emergenza Coronavirus che ha giocato a favore di tutto il reddito fisso.
L’effetto del voto in Emilia
Sul primo fronte l’evento chiave sono state le elezioni in Emilia Romagna del 26 gennaio. L’esito del voto, che ha favorito la tenuta della maggioranza di governo, ha allontanato la prospettiva di elezioni anticipate e gli investitori, notoriamente allergici all’incertezza, hanno puntato forte sui BTp: prima del voto il titolo decennale mostrava un tasso dell’1,22% con lo spread a quota 155, ieri alla chiusura degli scambi il tasso viaggiava a quota 0,91% con il differenziale che ha chiuso a 128 punti.
Al tema politico si sommano altre considerazioni di carattere economico-monetario dettate dal peggioramento delle prospettive di crescita per via dell’emergenza Coronavirus. Scontando una frenata dell’economia mondiale (per lo meno nel primo trimestre) gli investitori sono tornati a scommettere sulla rete di sicurezza delle banche centrali puntando sulla classe di investimento più direttamente interessata dagli stimoli monetari: le obbligazioni.
A partire dall’ultima settimana di gennaio, cioè da quando il tema Coronavirus ha iniziato a monopolizzare il dibattito sulla stampa finanziaria, i rendimenti dei titoli di Stato hanno fatto registrare un netto calo: il tasso dei Treasury a 10 anni, che un mese fa viaggiava a quota 1,8%, è sceso fino all’1,5% per poi attestarsi all’1,6 per cento; quello dei bund tedeschi, che un mese fa si attestava a -0,20%, ha chiuso ieri gli scambi a -0,39 per cento.
Caccia al rendimento
Come dimostra anche il boom di sottoscrizioni registrato dai fondi obbligazionari insomma la domanda di bond in questo contesto è stata molto forte e il controvalore di titoli a rendimenti negativi, che un mese fa viaggiava intorno agli 11mila miliardi di dollari si è riportato oltre quota 13mila. Si è quindi ricreato quel contesto di caccia al rendimento che più volte si era visto nel corso del 2019. Un contesto che tende a favorire sia i BTp, sia altri titoli ad alto rendimento: ad esempio i bond emergenti o i titoli di Stato greci i cui tassi sono scesi per la prima volta sotto l’1 per cento.
Non c’è da stupirsi quindi del successo alle aste del Tesoro. Lo si è visto con il collocamento di sindacato del titolo a 15 anni di martedì: 50 miliardi di richieste a fronte di 9 miliardi collocati. E ieri all’asta di titoli a 3 e 7 anni che ha visto il Tesoro piazzare l’intero ammontare previsto (5 miliardi di euro) a fronte di una domanda molto sostenuta e rendimenti ai minimi storici. La richiesta per i 2,25 miliardi del triennale è stata di 1,51 volte l’offerta contro un rapporto di 1,4 volte registrato allo stesso collocamento di gennaio.