L’Occidente è assediato già al proprio interno: questa sindrome autodistruttiva affiora anche dietro il pacifismo ipocrita che recita: «Né Nato né Russia»
Perché Vladimir Putin ha deciso che questo è il momento giusto per scatenare una guerra nel cuore d’Europa? Che cosa unisce la sua visione all’analisi del mondo che fa Xi Jinping? E come mai l’Occidente è arrivato impreparato a una sfida tremenda? Un filo rosso unisce le risposte a questi interrogativi: è la caduta di autostima delle democrazie liberali, assediate dal proprio interno prima ancora che da formidabili avversari esterni. Dietro la nostra sottovalutazione delle minacce di Putin negli anni passati, e ora dietro il pacifismo ipocrita «né con la Russia né con la Nato», affiora questo problema più generale, che ha contribuito a far precipitare l’aggressione contro l’Ucraina. È la smobilitazione ideologica dell’Occidente: da tempo concentrato nel processare se stesso, criminalizzare la propria storia, colpevolizzarsi per gli orrori dell’imperialismo. Solo il proprio, s’intende: gli imperialismi russo o cinese non contano. Se tutto il male del mondo è riconducibile a noi, perché avremmo dovuto vigilare su chi ci vuole mettere in ginocchio? Per quale ragione avremmo dovuto irrobustire le difese sui confini orientali della Nato, se l’unico militarismo ad avere disseminato il pianeta di sofferenze è il nostro?
Questa sindrome auto-distruttiva è acuta in America. L’attentato alla democrazia americana è stato ben visibile nella presidenza filo-putiniana di Trump. Ancora qualche giorno fa, prima che arrivassero sui nostri schermi le immagini atroci di bombe e di morte in Ucraina, l’ex presidente repubblicano era intento a definire «Putin un genio, Biden un incapace». Ora il partito repubblicano corregge il tiro e la sua corrente filo-russa è in imbarazzo, ma per troppo tempo questa destra ha descritto l’America come una democrazia truccata, dove gli altri vincono solo grazie ai brogli elettorali. Sul fronte opposto, il disprezzo per la liberaldemocrazia americana è speculare e simmetrico. Il movimento radicale dell’anti-razzismo, Black Lives Matter, da anni denuncia gli Stati Uniti come l’Impero del Male. Le sue analisi e i suoi slogan vengono regolarmente ripresi dalla propaganda russa e cinese. I talkshow in lingua inglese di RT (Russian Tv) e Radio Sputnik, i due maggiori organi di propaganda putiniana, pullulavano di ospiti della sinistra radicale americana: attivisti di Black Lives Matter e docenti vetero-marxisti con cattedra nei campus universitari dove domina il pensiero politically correct.
L’unico genocidio del quale si parla nelle scuole americane non è quello che Putin vorrebbe compiere contro il popolo ucraino, secondo Zelenski: è quello che la sola razza bianca ha perpetrato ai danni dei nativi. Il razzismo, secondo la Critical Race Theory insegnata nelle scuole pubbliche, è una colpa collettiva che soltanto i bianchi devono ammettere ed espiare. Tra la destra eversiva che diede o giustificò l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021, e la sinistra sovversiva che ha predicato l’odio contro le forze dell’ordine, l’America era troppo dilaniata dalle proprie guerre di religione, per avvistare un assalto esterno ormai imminente.
Putin e Xi Jinping hanno strategie diverse ma convergono su una diagnosi: l’Occidente è in una decadenza irreversibile, confermata dal nostro crollo di autostima. Quando il patriarca ortodosso prende le difese di Putin, non è solo l’erede di un’alleanza storica fra la religione e gli Zar, è anche il capo spirituale di un mondo che ci considera una società molle, perché ormai priva di certezze. Le analisi di Pechino sono identiche. Quando l’amministrazione Biden critica gli abusi contro i diritti umani a Hong Kong o nello Xinjiang, la risposta cinese cita Black Lives Matter, o le requisitorie della sinistra «no border» di Alexandria Ocasio-Cortez che accusa l’America per tutte le ingiustizie planetarie.
Ora Putin sembra aver ottenuto il risultato opposto ai suoi desideri: pare abbia risvegliato davvero l’unità dell’Occidente, il nostro amor proprio e la volontà di difendere la democrazia. La coesione fra Europa e Stati Uniti ha sorpreso tutti. L’arsenale di sanzioni economiche messe in campo è senza precedenti. I tedeschi cominciano a prendere sul serio la difesa e il progetto di esercito comune europeo potrebbe uscire da un letargo trentennale. Si sentono annunciare svolte energetiche drastiche per ridurre la dipendenza insostenibile dalla Russia. Forse l’aggressione all’Ucraina è stato uno shock salutare, l’inizio di una presa di coscienza, perfino di una rinascita.
Putin e Xi scommettono contro questo scenario. Colpisce il linguaggio della Cina, che pure ha molto da perdere nell’immediato da una guerra che destabilizza l’economia globale. «Non importa quanto la situazione internazionale sia precaria e pericolosa — dice il ministro degli Esteri Wang Yi — Cina e Russia manterranno la concentrazione strategica e la loro partnership per la nuova era». Mosca e Pechino sembrano convinte che dietro la nostra apparente unità, ben presto l’opportunismo del business da una parte, e le nostre fazioni anti-occidentali dall’altra, torneranno a dividerci.